El Clan, il film su malavita e dittatura in Argentina
Il 25 agosto arriva nelle sale italiane El Clan, film di Pablo Trapero (argentino), meritato Leone d’Argento per la migliore regia alla 72ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Un film sulle atrocità di una famiglia ‘normale’, sulla ‘normalità’ della dittatura, delle sue connivenze, della sua brutalità e delle coperture offerte a una religiosa famiglia borghese che, per arrotondare, oltre a gestire un negozio sequestra personaggi facoltosi, riscuote i riscatti e li uccide.
Il regista, con continui salti cronologici, tesse sullo sfondo la storia negli anni Ottanta della dittatura militare argentina lungo il periodo di transizione verso la democrazia. Dopo il fallito tentativo di recuperare le Falkland la dittatura (che aveva sequestrato, torturato e fatto sparire circa 30.000 dissidenti) cedette il potere, nel 1983, a un presidente eletto democraticamente, Raul Alfonsin.
In primo piano, la complicità del potere con famiglie malavitose come quella dei Puccio. L’aspetto più agghiacciante del film, tratto da una storia vera, è la normalità con cui violenza, delitti, rapimenti e corruzione di una dittatura diventano stile di vita, mentalità comune anche per un padre di famiglia con cinque figli che grazie alla copertura di generali e servizi segreti, per il benessere economico della sua famiglia, rapisce, uccide e ricatta.
La storia si svolge a San Isidro, dove alla guida della famiglia-clan c’è Arquímedes (Guillermo Francella), il patriarca, aiutato da Alejandro (Peter Lanzani), il primogenito, star del rugby del mitico team argentino “Los Pumas”, che adesca i facoltosi amici da rapire. Alejandro sembra preso da dubbi e rimorsi ma quando si scontra con il padre, che gli rammenta da dove provengono le grandi somme in denaro di cui dispone, non indietreggia.
L’intera famiglia è complice dei sequestri e non intende rinunciare al proprio benessere per scrupoli, etica e onestà. I personaggi femminili, come la moglie-madre-insegnante, non sono meno agghiaccianti con il loro far finta di niente, il loro esibito perbenismo pur avendo un sequestrato in cantina. La trama e il montaggio (dello stesso Trapero e Alejandro Carrillo Penovi) non lasciano tregua allo spettatore se non durante i brani di repertorio. Il film è uscito un anno fa (agosto) in Argentina e, con stupore dello stesso regista, ha avuto il maggior incasso di tutti i tempi nel Paese. Tra il pubblico anche i giovani che non hanno conosciuto direttamente la dittatura di Videla. Un segnale positivo che evidenzia come la parte sana della società argentina non è una minoranza e non teme la verità.
Trapero ha avuto molte difficoltà a ricostruire gli eventi della famiglia Puccio, che si è rifiutata di parlare con lui. Il regista è certo che il clan Puccio non sarebbe esistito senza la dittatura militare, i cui vertici hanno coperto per anni l’intera famiglia e usavano, per i loro sequestri, gli stessi metodi e la stessa violenza. Con il regista hanno collaborato, nella ricostruzione dei fatti, le famiglie delle vittime (in particolare Rogelia Pozzi e Guillermo Manoukian). Arquímedes, personaggio dalla calma inquietante e sguardo glaciale, è interpretato magistralmente da Guillermo Francella, un attore molto amato in Argentina per i suoi ruoli leggeri.
La tensione emotiva del film è mantenuta sempre alta da elementi contrastanti: Arquímedes che si comporta da bravo padre aiutando la figlia a fare i compiti mentre non si fa scrupolo di tenere un sequestrato che urla in cantina. Anche la colonna sonora accattivante (Ella Fitzgerald, Creedence Clearwater Revival, The Kinks) fa da contrappunto, spingendo l’accelerazione verso una soglia invalicabile, come nella scena dell’amplesso inframmezzata da una di violenza Questo film è un monito per tutti: nei tempi bui dell’ignoranza anche la dittatura e la violenza possono diventare normali.