Venezia 77. A “The Disciple” il premio per la migliore sceneggiatura
Il film prodotto da Alfonso Cuarón è una metafora del cambiamento della musica e della società indiana.
The Disciple del regista indiano Chaitanya Tamhane, prodotto da Alfonso Cuarón (regista messicano premio Oscar) presentato in concorso alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2020, racconta la storia ambientata in India di un aspirante musicista. Il protagonista, Sharad Nerulkar (Aditya Modak), ambisce a diventare un interprete di spicco della tradizione musicale millenaria indiana. Per raggiungere questo traguardo sacrifica la sua vita e vive in funzione del suo maestro. Un guru che accompagna nelle esibizioni e di cui si prende cura aiutandolo in ogni incombenza quotidiana.
La narrazione sviluppa una tematica molto interessante e contrapposta a quella dell’uomo volitivo di succeso americano, a cui basta la determinazione per raggiungere il proprio sogno. In questo film la volontà, l’ostinazione, la dedizione, i continui esercizi non possono nulla senza il talento. La subordinazione e ossequio di Sharad ai suoi maestri non cessano nemmeno quando diventa docente. La sua vita concentrata tutta sul suo obiettivo gli impedisce perfino di crearsi una vita affettiva, una famiglia.
Il racconto si sviluppa lentamente attraverso le frustrazioni e la difficile presa d’atto, per Sharad, che non diventerà mai un musicista famoso.
Ma i cambiamenti e l’evoluzione del protagonista sono anche quelli della società indiana che contemplava una assoluta dedizione dell’allievo al proprio maestro. Mentre nel film trapela a poco a poco l’atteggiamento opportunista del guru che si fa accudire dal suo allievo incitandolo a esercitarsi nell’illusione che un giorno potrà raggiungere il suo sogno. Nel frattempo il maestro avrò qualcuno che si prende cura di lui. Quello che lo spettatore si aspetta uscendo dal cinema è credere che nella realtà, e non solo nei film, i sogni possano avverarsi.
Nella descrizione della relazione tra maestro e allievo il film ben rappresenta il carattere devozionale di tale rapporto che in India contempla, o meglio prevedeva, che un allievo dovesse accudire il maestro in ogni sua necessità.
Lunghe sessioni di canto ed esercizi mettono alla prova la pazienza del protagonista che ha difficoltà, come molti, ad accettare la propria mediocrità. Mentre l’attenzione dello spettatore cala nelle lunghe sequenze ripetute di Sharad che di notte attraversa in moto una città deserta. Irreale per quanto riguarda le città indiane e noiosa nella reiterazione metafisica di una rappresentazione onirica (probabilmente qualche taglio nel montaggio avrebbe giovato).
Molto bella la colonna sonora di musica classica indiana hindustānī (nord dell’India), dalla natura mistica. Una musica fondamentalmente basata sul canto che è considerato lo strumento principale. La musica è anche metafora del veloce cambiamento della società indiana e della città di Mumbai dove il regista vive.