Venezia 78. Il collezionista di carte (The Card Counter) di Paul Schrader, già in sala
Il collezionista di carte (titolo italiano fuorviante), già in sala e presentato a Venezia, è un film da Leone d’Oro. La regia, il soggetto e la sceneggiatura sono di Paul Schrader (presente già nel 2017 a Venezia con First Reformed) e la produzione è di Martin Scorsese, per il quale Schrader ha scritto Taxi Driver. Il protagonista è un personaggio ascetico sul sentiero della salvezza. Seguiamo incollati allo schermo la storia di William Tell, ex soldato semplice William Tillich (interpretato magistralmente da Oscar Isaac) giocatore di carte professionista, che nonostante la sua superiorità non la esibisce ma vuole fare abbastanza soldi per poi ritirarsi.
Un personaggio che diventa sempre più inquietante come gli ambienti in cui si muove. Nel suo passato c’è la prigione e nel presente, pur viaggiando per l’America, quasi tutto il film si svolge in spazi chiusi e claustrofobici, motel e casinò. Sembra la storia di un giocatore metodico, particolarmente dotato di memoria, che si muove da solo, silenzioso, quasi invisibile come un monaco. Un personaggio sempre più controverso, non solo per il suo passato. Dorme nei motel solo dopo aver rivestito tutti i mobili di candidi tessuti per creare un ambiente totalmente impersonale, asettico come una stanza di ospedale. Lo spettatore attende di sapere più sulle sue relazioni e i suoi affetti. Ha scelto il nome, paradossalmente, di un eroe ma scopriamo che è stato ben altro…
L’entrata in scena di un ragazzo, Kirk (Tye Sheridan), in cerca di vendetta contro un nemico comune, apre il sipario sul passato inaccettabile del protagonista. Il nemico di William Tillich è proprio il suo passato: era uno dei torturatori di Abu Grahib. Uno dei pochi che ha pagato con il carcere la sua abnegazione e obbedienza criminale. Una macchina da guerra violenta, perfettamente addestrato alla follia criminale degli “interrogatori potenziati”, assuefatto alla tortura e a ogni forma di sopruso. Una volta scoppiato lo scandalo delle violenze perpetrate dai soldati americani nei confronti dei prigionieri arabi, e pubblicati i video, non si può più nascondere e tacere. Servono punizioni esemplari per tacitare la coscienza di un Paese. Per questo vengono imputati e condannati i soldati semplici mentre il sadismo istituzionale, le alte gerarchie non vengono sfiorate.
In carcere William si è assuefatto a una vita sempre uguale, scandita dai pasti e dalle abitudini. Al contempo si è dedicato alla lettura e ha imparato a contare le carte ma il passato è sempre in agguato nonostante ora la sua adrenalina sia convogliata nelle partite ai tavoli da gioco dei casinò. Si accorge del suo talento Linda (l’afroamericana Tiffany Haddish) che lo introduce nel giro dei tornei sponsorizzati da scommettitori miliardari. Una buona fetta di guadagni è destinata ai suoi occulti finanziatori. In carcere William ha tentato di espiare le sue colpe facendosi persino picchiare, provocando i compagni di cella. La prigione sembra però continuare anche fuori: è succube delle sue ossessioni, ripetizioni, annotazioni, conteggi e calcoli di probabilità.
La tensione cresce come in un thriller quando riappare in un convegno, dall’inferno del suo passato il maggiore John Gordo (Willem Dafoe, in una delle sue interpretazioni più convincenti) il suo istruttore di torture, che non ha scontato nemmeno un giorno di prigione ed è anzi acclamato in conferenze strapagate.
Come si addice a un monaco il percorso del regista è profondamente impegnato, etico: espiazione per arrivare alla salvazione. In questo ritroviamo tutta la rigida educazione calvinista della famiglia in cui è cresciuto Schrader. Si dice che che non abbia visto un film fino alla tarda adolescenza. Ha frequentato il Calvin College studiando inglese e teologia per diventare sacerdote. Anche William Tell è come altri protagonisti dei suoi film: uomini soli, angosciati, prigionieri nella propria mente, desiderosi di amore ma allo stesso tempo tormentati. Personaggi che oscillano tra desiderio di vendetta e smania di redenzione.
Gli scenografi hanno ricreato Abu Ghraib per le sequenze di tortura. Schrader ha voluto che le scene da incubo sembrassero una realtà virtuale immersiva. Il direttore della fotografia Alexander Dynan ha utilizzato la tecnologia VR. Grazie agli effetti lo spettatore sembra entrare in prima persona in un inferno simile a quello di Hieronymus Bosch. Si ha l’impressione di camminare nei corridoi sporchi della prigione e di quasi partecipare alle torture. Spiega Dynan. “Le porte si piegano e le figure sono distorte verso il bordo dell’inquadratura. L’ho visto come un’evoluzione del lavoro di James Wong Howe in Seconds, senza la necessità di costruire set deformati”. Allo stesso tempo, nonostante la vicenda atroce, si ha l’impressione di assistere a un videogame, per la sua inconcepibile assurdità e la tecnologia utilizzata.
Per uscire fuori da traumi così forti forse il perdono è l’unico modo che sembra plausibile. Ma poi non riesce e la vendetta sembra l’unico esito possibile per pareggiare i conti.
Il sogno americano naufraga davanti ai nostri occhi, non ci sono giustificazioni, non ci sono più scuse. Anche la musica, i suoni assordanti che torturano le nostre orecchie sono protagonisti nel film, come i silenzi.
La chiave, fortemente politica, è nell’affermazione lapidaria del protagonista: “Non c’è niente che possa giustificare quello che abbiamo fatto!”: