Venezia 75. Manta Ray e i Rohingya
Manta Ray, vincitore della sezione Orizzonti alla 75ma Mostra del Cinema di Venezia, dal 10 ottobre al cinema. Per non dimenticare i Rohingya.
Manta Ray, del regista thailandese Phuttiphong Aroonpheng, che ha conquistato, lo scorso anno, la giuria della 75ma Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, che gli ha assegnato il premio come “miglior film” per la sezione Orizzonti, sarà nelle nostre sale cinematografiche da giovedì 10 ottobre.
Il film ha un attacco molto forte. Inizia con una notte in una foresta vicino a un villaggio costiero. Un giovane pescatore biondo ossigenato (Wanlop Rungkamjad, attivo per lo sviluppo artistico del cinema indipendente nel suo paese) s’imbatte al buio, tra corpi sepolti, in un uomo ferito e privo di sensi (Aphisit Hama). Decide di soccorrerlo e lo porta nella propria casa. Lo sconosciuto si riprende tranne che per l’uso della parola. Forse è muto oppure sotto shock per la fuga.
Il pescatore decide di assegnargli il nome di una pop star thailandese, Thongchai. Presto s’instaura un’amicizia tra i due, fino a quando una mattina il pescatore scompare in mare. Thongchai lentamente, si ritrova a prendere il suo posto, abitando nella sua casa, vivendo del suo lavoro fino ad arrivare a convivere con la sua ex moglie (Rasmee Wayrana, primo ruolo cinematografico per questa cantante thailandese).
Un film visionario, poetico e fantasmagorico, come la scena delle luci colorate nella foresta che evoca le anime dei rifugiati lì sepolte.
Giocato sui silenzi, più che sui dialoghi, il film si snoda su tre strati: in superficie la vita del pescatore, indurito perché lasciato dalla moglie; quella dello straniero muto di cui si ignorano tutti gli elementi della sua vita precedente, come per la storia dei Rohingya e sullo sfondo la tragedia di questa minoranza etnica senza cittadinanza, sotto uno strato di terriccio e foglie secche.
Fu uno straniero a informare il regista, Phuttiphong Aroonpheng, dei traffici umani di pescherecci birmani e thai. Nel 2015 vennero trovati nelle foreste tra Thailandia (buddisti) e Malesia (islamici), come in Manta Ray, molti corpi sepolti di Rohingya, tra cui donne e bambini.
Nel 2017 i militari birmani e i nazionalisti locali hanno ucciso e sepolto migliaia di Rohingya – in prevalenza musulmani – costringendone alla fuga in Bangladesh oltre 700.000. Così il regista thailandese, con l’appoggio del Ministero della Cultura, ha rievocato questa storia nel suo lungometraggio.
Così il regista lo presenta: “il film evoca e racconta i corpi sconosciuti che annegano nel mare della Thailandia e vengono sepolti nelle profondità della terra: sono i corpi dei rifugiati Rohingya la cui voce rimane inascoltata. Al contrario, questa voce non deve scomparire, né essere dimenticata. Io l’ho registrata, perché voglio che continui a esistere, nel mio film”.
Il film esce con il patrocinio di Amnesty International Italia. Riccardo Noury, portavoce dell’associazione e presente all’anteprima stampa, ha sottolineato come il film: “è un’occasione importante per far conoscere, o ricordare, la situazione dei Rohingya, la minoranza etnico-religiosa del Myanmar che negli ultimi due anni ha subito crimini contro l’umanità – tra cui uccisioni e stupri di massa – che hanno causato l’esodo di oltre 700.000 persone. Nel film si vedono arrivare i rifugiati, attraverso il mare, nella Thailandia meridionale ma in realtà la maggior parte arriva in Bangladesh, che però non riesce più ad accogliere circa un milione di persone e a dar loro un futuro”. Secondo un rapporto di Amnesy International 13 ufficiali delle forze di sicurezza birmane dovrebbero essere processati per crimini di guerra.
INFORMAZIONI
Distribuito da: Mariposa Cinematografica