Steven Spielberg rievoca la Guerra Fredda con ‘Il ponte delle spie’
Spy-movie con una squadra da Oscar, ispirato a una storia realmente accaduta. Dal 16 dicembre in 300 sale cinematografiche, distribuito dalla 20th Century Fox Italia. Il trailer
Il film, girato e prodotto da Spielberg, si avvale di un cast stellare: protagonista Tom Hanks (vincitore di due premi Oscar), sceneggiatura di Matt Charman e dei fratelli Coen (tre premi Oscar) e direttore della fotografia Janusz Kaminski (premio Oscar per Schindler’s List e Salvate il soldato Ryan).
Glienicke Brücke (ponte lungo circa 130 m sul fiume Havel, confine tra la Germania Est e Ovest, oggi collega il quartiere di Brandeburgo e Potsdam) deve il suo nome allo scambio, tra i paesi Nato e quelli del patto di Varsavia, di spie catturate. Il film (2 ore e 20 minuti) racconta la storia del primo scambio su questo ponte avvenuto il 10 febbraio1962 tra la spia russa, il colonnello Rudolf Ivanovich Abel, e il pilota statunitense Francis Gary Powers, catturato in Unione Sovietica dopo essere stato abbattuto con il suo aereo durante un’azione di spionaggio sui cieli russi e Frederic Pryor, studente americano in prigione nella Germania dell’Est per aver tentato di tornare nella zona occidentale.
Spielberg ci fa rivivere i giorni antecedenti lo scambio, riempiendo l’attesa di tensioni e aspettative. Un film di spionaggio emozionante, impeccabile nella ricostruzione di quegli anni: la costruzione del muro di Berlino, la minaccia della guerra atomica, la tensione tra le due superpotenze; movimenti di camera magistrali e scene da applauso come quella della caduta dell’aereo spia U2 di Powers (il figlio di Powers ha un cameo nel film, nel ruolo dell’agente della CIA che addestra i piloti di U2). Il regista non beffeggia, come in precedenti film americani sul genere, gli antagonisti russi rendendoli ridicoli fantocci ma li tratta con rispetto. L’interpretazione di Mark Rylance, nei panni della spia russa Abel, è all’altezza di quella di Tom Hanks nel ruolo di James Donovan, l’avvocato americano chiamato a difenderlo dopo la sua cattura. Abel era un uomo che, come altre spie americane che operavano in Unione Sovietica, ha svolto il suo dovere di informatore o era un nemico degli Stati Uniti da abbattere? L’integrità e l’onestà dell’avvocato Donovan, che mette a rischio la sua reputazione e la sua famiglia, per garantire un giusto processo a una spia russa, rispettandolo per aver fatto il proprio dovere, è ammirevole eppure il film trasuda retorica.
La scena chiave è quella in cui l’avvocato James Donovan, chiamato a negoziare lo scambio (trattò a Cuba anche il rilascio di 1113 prigionieri catturati durante il tentativo di golpe alla Baia dei Porci), spiega all’agente della CIA cosa unisce sotto un’unica bandiera i cittadini degli Stati Uniti: non l’etnia o le origini, perché sono tutti immigrati provenienti da nazioni diverse, ma il rispetto alla Costituzione (per fortuna la bandiera a stelle e strisce questa volta non ha sventolato come in Salvate il soldato Ryan).
Il punto di vista rimane occidentale, né forse un americano potrebbe offrire una lettura diversa, gli Stati Uniti sono rappresentati come una nazione superiore in nome del rispetto alla Costituzione (negli altri paesi non viene rispettata o non è di pari valore?!). Il film è giocato su questi principi e domande molto attuali: sono più importanti le garanzie e il rispetto delle regole e di ogni essere umano o la sicurezza del paese, da tutelare con ogni mezzo anche illecito? Sono più importanti le ragioni di Stato o la difesa dei diritti di ogni individuo? Ma proprio nel confronto con questi valori, che rendono epica la storia di un uomo comune e integro chiamato ad affrontare circostanze eccezionali, la politica estera americana non brilla per trasparenza.
Pur essendo un film ben fatto e confezionato, che si sforza di essere equilibrato, la retorica e il suo indugiare in accostamenti scontati e un po’ banali (come la rete scavalcata da ragazzini che rievoca il muro di Berlino o gli ammiccamenti della signora che riconosce Donovan in metropolitana) lo appesantiscono inutilmente.
La frase d’effetto del film è di Abel, quando risponde alla domanda di Donovan su come mai non si preoccupa di una possibile condanna a morte: “Servirebbe a qualcosa?!”.