Puglia. Taccuini salentini, Lecce, il barocco e i pasticciotti
Il nostro itinerario si è svolto lungo le coste, è il momento di andare fuori rotta per addentrarci nel Salento, alla scoperta di un tesoro barocco, Lecce, e delle sue dolcezze, i pasticciotti.
Dopo la dominazione dei Normanni, degli Svevi, Angioini e Aragonesi per Lecce iniziò, con Carlo V, il periodo del cosiddetto Rinascimento salentino. Le sue mura risalgono ai lavori di fortificazione cinquecenteschi, realizzati dopo l’assedio di Otranto (1480), di cui esistono ancora tre porte (delle quattro originarie): San Biagio, Rudiae e Napoli, da cui partiva la strada che arrivava alla capitale del Regno. Il nuovo assetto urbanistico sconvolge la planimetria medievale e la città salentina diventa la seconda per importanza dopo Napoli.
Dopo la battaglia di Lepanto (1571), lo scongiurato pericolo turco e la Controriforma, Lecce perde il suo aspetto di città-fortezza per divenire città-chiesa e il suo centro storico diventa un palcoscenico barocco (1500-1700), facciate decorate, ringhiere in ferro, mensole scolpite, ghirlande e testine che spuntano ovunque.
Trovarsi all’improvviso in piazza S. Oronzo è un’emozione che diventa stupore man mano che si procede verso il suo ‘cratere’, l’Anfiteatro romano (di epoca adrianea, II secolo d.C.), che ospitava 25.000 spettatori e di cui oggi rimane solo l’ordine inferiore. La piazza è dominata dalla Colonna di S. Oronzo (alta circa 29 m) con la statua del santo benedicente. Il fusto della colonna e il capitello provengono da una delle due colonne terminali della via Appia, la sua costruzione fu decisa (1656) per ringraziare il santo per lo scampato pericolo della peste.
Di fronte a piazza S. Oronzo si trova la chiesta di S. Irene, sontuoso esempio di architettura controriformata. Nel 1500 non era ancora portato a compimento l’intento di ricondurre alla religione cristiana, romana, una popolazione che predicava la religione greca. Sul timpano spezzato del portale c’è la statua di Sant’Irene (con la lupa e i lecci), patrona della città fino al 1656 quando il vescovo Luigi Pappacoda stabilì che era stato Sant’Oronzo a risparmiare il Salento dalla peste.
Il vescovo Pappacoda, intriso di fervori postridentini, dopo aver imposto la sua figura sia sul potere laico che su quello religioso, nel promuovere la rinascita morale della città avrebbe ripristinato, alcuni dicono inventato, il culto di Sant’Oronzo scalzando il patronato di Santa Irene (donna e originaria di Salonicco) le cui reliquie erano custodite dall’ordine dei Teatini che ne difesero il patronato strenuamente.
Le nicchie sulle facciate delle chiese spesso sono vuote per far riflettere e non suscitare distrazioni su statue e decorazioni.
Tra Seicento e Settecento Lecce era all’apice della sua espressione artistica e a questo periodo risale il rifacimento delle architetture della scenografica piazza Duomo, con il Campanile (alto circa 70 m), il Palazzo Vescovile, il Seminario e il Duomo, la cui ricostruzione (1659-70), affidata a Giuseppe Zimbalo (architetto e scultore), fu finanziata dal vescovo Pappacoda.
Sulla facciata secondaria, divenuta la principale per la chiusura della piazza, fu posta, nel secondo ordine, una maestosa statua di S. Oronzo. Sotto, nelle due nicchie, stanno i SS. Giusto e Fortunato, compatroni di Lecce. Pappacoda affidò all’arte la diffusione del culto di S. Oronzo, la cui immagine pervase la città e le chiese, con molti altari a lui dedicati. La piazza è una vera e propria quinta teatrale che si svela all’improvviso, in tutta la sua ampiezza e bellezza, da uno scorcio tra due edifici.
Proseguendo verso Porta Rudiae si incontra la Chiesa di S. Giovanni Battista (detta del Rosario), ultima opera (1690-91) di Giuseppe Zimbalo.
Tra i famosi gioielli architettonici leccesi vale la pena citare la Chiesa di Santa Chiara con una facciata architettonicamente incompiuta, manca la cimasa; la Basilica di Santa Croce (portata a termine nella metà del XVII secolo) con un tripudio di decorazioni e telamoni umani e animali, di rilevante valore simbolico, che sorreggono la balconata; Palazzo Paladini dove lo Zimbalo è intervenuto nell’elegante bifora o lo splendido Palazzo Marrese, famoso per le cariatidi del portale. Ma l’elenco è lungi dall’essere esaustivo.
La pietra leccese, con cui sono state realizzate molte delle architetture e decorazioni citate, risulta morbida per lo scalpellino ma è soggetta a deperire. L’artigianato della pietra e l’arte della cartapesta, che si afferma nel periodo del barocco, sono ancora fiorenti e nel centro storico di Lecce è possibile trovare diverse botteghe di questi artigiani, tra cui i discendenti della famiglia Riso.
Nelle stradine dei centri salentini è impossibile resistere al profumo del pasticciotto, un dolcetto di pasta frolla ripieno di crema pasticcera e cotto al forno. La tradizione ne colloca la nascita a Galatina nel 1745, ad opera della pasticceria Ascalone, ma un inventario della Curia Vescovile di Nardò ne anticiperebbe l’esistenza al 1707 spostandone il luogo di origine.
Lecce lo ha inserito nei prodotti agroalimentari tradizionali ed è una bontà che dovrebbe essere inserita tra le ‘specie protette’. Ogni pasticcere è geloso dei suoi segreti ma ecco le dosi carpite a un bravo chef. Ora per gustarli tocca a voi cimentarvi o andare nel Salento.
Ricetta del pasticciotto:
Frolla: 1kg. Farina 00, 500 gr. zucchero, 500 gr. burro o strutto, 5 uova, 1 bustina lievito per dolci, 1 bustina vanillina, la buccia grattugiata di 1 limone.
Crema: 1 lt. Latte fresco intero, 200 gr. Zucchero semolato, 200 gr. Tuorli di uovo, 45 gr. Farina 00, 45 gr. Maizena, 1 bacca vaniglia, la buccia di 1 limone.
Cottura: forno ventilato a 190° per 18-20 minuti
Foto Marco De Felicis
INDIRIZZI
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Via Umberto I, 7 (Santa Croce)
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Palazzo baronale settecentesco, centralissimo su una piazza rumorosa, stanze raffinate, roof garden
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