“Marina Abramović, the Cleaner”, energia creativa a Palazzo Strozzi
Marina Abramović, performer e artista potente, in una mostra immersiva che emoziona. A Palazzo Strozzi dal 21 settembre al 20 gennaio 2019
Marina Abramović con i suoi cinquanta anni di carriera approda a Palazzo Strozzi “per far pulizia” (the Cleaner) del passato, alla maniera buddista, e trattenere solo ciò che serve ed è essenziale: “Come in una casa: tieni solo quello che ti serve e fai pulizia del passato, della memoria, del destino”. Nessun artista più di lei è in continuo dialogo con il presente, di cui interpreta le contraddizioni e denuncia le urgenze. In questa prima grande retrospettiva italiana dedicata all’Abramović si vivono esperienze e si provano emozioni, non è una “visita”. Il pubblico è sollecitato a partecipare alle re-performance vivendo in prima persona esperienze forti. Una mostra che non lascia indifferenti e da cui si esce diversi.
La mostra, oltre 100 opere, inizia dai sotterranei della Strozzina con le performance degli anni Settanta, quelle più estreme, fino agli anni Duemila. La performance è una forma d’arte, nata in quel periodo, che prevede il coinvolgimento del pubblico in azioni programmate, talvolta rischiose. In conferenza stampa Arturo Galansino (Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi) ha spiegato che: “si parte dalla Belgrado degli anni Sessanta, poi le performance degli anni Settanta. In primo piano la simbiosi con Ulay degli anni Ottanta, fino al 2010”.
Marina Abramović, bella e iconica, ha raccontato: “Prendevo un treno di seconda classe per andare a Trieste ad acquistare i jeans. Poi ho visitato la Biennale e viaggiando ho imparato l’italiano. Siete un popolo drammatico e inventivo. La mia storia con Ulay si è conclusa sulla muraglia cinese. Questa mostra raccoglie il mio lavoro di cinquanta anni. Ringrazio i performer che hanno collaborato e vorrei ringraziare il mio amore che è in prima fila”.
A chi le ha chiesto cosa è per lei la performance e quale è stata quella più dura, Marina ha risposto: “Ho fatto performance tutta la vita, è una forma d’arte basata sul tempo. È difficile confrontarla con altre forme d’arte. Negli anni Settanta non era riconosciuta. Io non mi arrendo e quando qualcuno mi dice ‘no’ per me è solo l’inizio. Credo in questi cinquanta anni di aver reso la performance una forma d’arte riconosciuta e questo è il mio contributo. È cambiata, prima si teneva davanti a poche persone e in luoghi alternativi, ora è una forma d’arte duratura davanti a molte persone. The Artist is present e stata la più dura, è durata tre mesi”.
“Poi i giovani artisti hanno iniziato a copiare. Ho pensato che avevo il dovere di mettere ordine. Ci tengo molto alla performance. Sono stata la prima a chiedere all’artista (se vivente) oppure alla fondazione se potevo ripetere la sua performance. Bisogna pagare i diritti al creatore originale e poi prepararsi per ripeterla. Quando vedo qualcuno ripetere il mio lavoro, devo dire che, sebbene sono una persona emotiva, provo un certo distacco e anche la contentezza che il mio lavoro continuerà dopo di me”. Marina ha annunciato che ha un progetto per il 2020 alla Royal Academy ma non ha voluto dire niente per scaramanzia.
A Marina è stato chiesto, considerata l’importanza che assegna alla spiritualità, il suo parere sui social media: “Non possiamo chiudere gli occhi davanti alla tecnologia, non è un male ma è male l’uso che ne facciamo. Per me Instagram non è arte. È importante che ogni artista trovi il suo canale. Se il pubblico è toccato emotivamente e trasformato vuol dire che è stato fatto un buon lavoro”.
Affermarsi come donna-artista per Marina non è stato difficile: “È importante non aver paura. Negli anni Settanta c’erano delle eccellenti donne artiste ma si conoscevano di più gli artisti. Le donne assumono un ruolo di vulnerabilità e fragilità che non è vero, perché siamo più forti. Non credo che esiste un’arte femminile o maschile ma solo un’arte cattiva e una buona. Forse c’è un senso di colpa delle donne. Nelle gallerie si facevano vedere solo opere di uomini. Palazzo Strozzi, dopo di me, deve solo mostrare artiste donne”.
Secondo Marina: “La vita è veloce e l’arte e lenta. The Artist is Present è stato difficile realizzarla a New York, in una città in cui non si dorme. La performance l’ho fatta nell’atrio dove c’è di tutto. Ma sapevo che in ogni ciclone c’è un occhio e questo è fermo”.
Infine Marina si è meravigliata di non ricevere una domanda sulla Barcolana di Trieste, la più grande regata al mondo, per la quale lei ha realizzato il manifesto che ha creato problemi all’istituzione ed è stato vittima di una forma di censura. “Sono stata così contenta che un semplice manifesto abbia creato così tante polemiche, vuol dire che l’arte ha questo potere. Quello che c’è scritto può essere interpretato anche in modo banale rispetto a quello che avevo in mente. Noi essere umani siamo su questo pianeta blu sospeso nello spazio”.
L’ Abramović ha fatto del suo corpo un mezzo espressivo, fino a toccarne i limiti. Le sue perfermance sono violente, rischiose o collisioni energetiche, fino all’interazione con il pubblico, sempre più protagonista nel suo percorso artistico. In Rhythm 0 1974 (Studio Morra, Napoli, 1974, durata 6 ore, dalle 20 alle 2 di notte) l’artista si espose a una rischiosa prova di resistenza: lei, in t-shirt e pantaloni neri, con il suo corpo divenne oggetto su cui il pubblico poteva usare a piacere i 72 oggetti posti su un tavolo (tra cui una pistola, un proiettile, un coltellino, un bisturi, fiammiferi etc.). Sul tavolo le istruzioni in cui l’artista si assumeva ogni responsabilità durante l’intervallo di tempo stabilito.
Come racconta lei stessa: “Per le prime tre ore non successe molto… ogni tanto qualcuno mi porgeva la rosa, metteva lo scialle sulle mie spalle o mi dava un bacio… penso che il motivo per cui non venni violentata fu che erano presenti le mogli. Quando si fece notte fonda, nella galleria cominciò ad avvertirsi una certa tensione sessuale. Non era da me che proveniva, ma dai visitatori… Dopo tre ore, un uomo mi tagliò in due la maglietta e me la tolse… Ero una marionetta completamete passiva. Due tizi… mi misero sul tavolo, mi allargarono le gambe e conficcarono il coltello a poca distanza dal mio sesso. Qualcuno mi punse con gli spilli… Qualcuno mi fece un taglio sul collo con il coltello e succhiò il sangue. Ho ancora la cicatrice… un uomo… mise il proietille nella pistola e me la mise nella mano destra. La puntò verso il mio collo e toccò il grilletto… qualcuno fermò il tizio e ci fu una baruffa… (quando la performance terminò n.d.r.) Smisi di guardare nel vuolo e fissai il pubblico… Ero in uno stato pietoso: mezza nuda, sanguinante, con i capelli bagnati… A quel punto accadde una cosa strana: d’un tratto quelli che erano ancora lì ebbero paura di me”. Le persone sfogarono quello che avevano dentro: frustrazione, violenza etc.
Per Rhythm 5, 1974 l’artista costruì “una stella a cinque punte, riempiendola di trucioli di legno che ho impregnato con 100 litri di benzina. Dò fuoco alla stella… Entro nello spazio vuoto della stella e mi distendo. Non mi rendo conto che il fuoco ha consumato tutto l’ossigeno; rimanendo sdraiata all’interno, perdo conoscenza… Soltanto quando il fuoco comincia a bruciarmi una gamba senza che io reagisca, due persone del pubblico entrano nella stella e mi portano all’esterno. La performance viene interrotta”. La stella era “il simbolo del comunismo, la forza repressiva sotto cui ero cresciuta e da cui cercavo di fuggire… ma era anche… il pentacolo, un simbolo sacro e misterioso di antichi culti e religioni”.
In occasione di Lips of Thomas, 1975 (il nome di un artista svizzero dall’aspetto androgino con cui Marina ebbe una breve storia) ruppe con la mano un bicchiere e s’incise con la lametta di un rasoio, all’altezza dello stomaco, una stella a cinque punte. Si frustò fino a non avvertire più dolore, quindi si stese su una croce fatta di blocchi di ghiaccio, dove rimase per trenta minuti finchè il pubblico non rimosse i blocchi di ghiaccio.
In Freeing the Body (Berlino, 1975, durata 8 ore) l’artista si avvolse la testa in una sciarpa nera, al ritmo di un tamburo africano danzò fino ad essere esausta e poi crollò a terra.
La performance Imponderabilia 1977 (a Bologna con Ulay) – in cui i due artisti nudi, in piedi uno di fronte all’altro, stavano all’entrata dello spazio espositivo costringendo i visitatori a passare attraverso i loro corpi – fu interrotta dalla polizia. L’idea alla base della performance era che senza artisti non ci sarebbero musei. Per cui gli artisti divennero la porta dei musei e i visitatori per entrare avrebbero dovuto mettersi di sbieco e scegliere se fronteggiare l’uomo nudo o la donna nuda.
The Lovers, 1988 (con Ulay) è l’incontro tra Marina e il suo compagno dopo aver camminato, per 90 giorni, per tutta la lunghezza della Grande Muraglia cinese partendo da due parti opposte. L’idea romantica, sposarsi dopo aver percorso insieme la Grande Muraglia, era nata otto anni prima in Australia dove avevano studiato pratiche di meditazione (Crossing Conjunction, contatto tra la cultura aborigena e tibetana). Anche se ormai non più amanti i due – che avevano vissuto e viaggiato per anni nel furgone Citroën – non vollero rinunciare alla loro marcia sulla Grande Muraglia in gran parte in rovina. “Avevamo bisogno di una qualche conclusione. E questa è rappresentata da tutta la strada che facciamo camminando l’una verso l’altro, e non per incontrarci gioiosamente, ma solo per pronunciare la parola ‘fine’”. Non fu come l’aveva immaginato, Ulay non le venne incontro dalla direzione opposta ma era ad attenderla in un punto scenografico da tre giorni. “Io scoppiai a piangere, e lui mi abbracciò. Un abbraccio da compagno, non da amante, privo di qualunque calore”.
Con Balkan Baroque, ispirata dal dramma della guerra in Bosnia, Marina Abramović vince il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia del 1997. Dentro il seminterrato del Padiglione Italia l’artista pulisce migliaia di ossa di bovino fresche raschiandone la carne e intonando canzoni della tradizione popolare serba della sua infanzia. L’artista ha cantato sei ore al giorno per quattro giorni. Il titolo fa riferimento al “barocchismo e alla follia della mentalità balcanica: il fatto che siamo crudeli e teneri, che siamo in grado di amare e di odiare appassionatamente, e tutto in una volta sola… In quel locale senza aria condizionata, nell’umida estata veneziana, le ossa sanguinolente marcirono e si riempirono di vermi, ma io continuavo a strofirnarle: il lezzo era tremendo, come quello di cadaveri sul campo di battaglia”.
Alle sue spalle due schermi proiettavano delle interviste al padre e alla madre. L’artista racconta come: “Ogni giorno, alla fine della performance, tornavo nell’appartamento che avevo preso in affitto e facevo una lunga, lunga doccia, cercando di levarmi di dosso l’odore di carne putrefatta che mi era entrato nei pori. Già alla fine del terzo giorno mi sembrò impossibile pulirmi. Fu allora che Sean Kelly bussò alla porta e con un gran sorriso mi disse che avevo vinto il Leone d’oro come miglior artista della Biennale. Scoppiai a piangere”.
Durante The Artist is Present (2010, Museum of Modern Art di New York, MoMA) Marina rimaneva seduta su una sedia in silenzio e i visitatori si sedevano di fronte a lei per fissarla il tempo che volevano. La sua performance durò 736 ore nell’arco di tre mesi, in cui ha fissato 1675 persone, con cui ha stabilito una comunicazione energetica e spirituale. Lo sforzo sostenuto per stare otto ore al giorno per tre mesi senza muoversi, bere, mangiare, andare in bagno o alzarsi, fu enorme e richiese un allenamento preventivo di un anno.
Alcune sue performance si ripetono e alternano durante l’esposizione a Palazzo Strozzi.
Il Manifesto della vita dell’artista di Marina inizia “L’artista non dovrebbe mentire a se stesso o ad altri…” e termina “Il funerale è l’ultima opera d’arte dell’artista prima di andarsene”.
Per una migliore fruizione della mostra può essere utile l’audioguida con la voce dell’artista che accompagna i visitatori nelle varie tappe dell’itinerario artistico.
Info
Sede: Firenze, Palazzo Strozzi
Periodo: 21 settembre 2018 – 20 gennaio 2019
Orario: Tutti i giorni 10.00-20.00, Giovedì 10.00-23.00. Dalle ore 9.00 solo su
prenotazione. Accesso consentito fino a un’ora prima dell’orario di chiusura
Telefono: +39 055 2645155
Biglietti: intero € 12,00; ridotto € 9,50; € 4,00 Scuole
Sito: www.palazzostrozzi.org
Curata da: Arturo Galansino Fondazione Palazzo Strozzi, Lena Essling, Moderna Museet, Stoccolma, con Tine Colstrup, Louisiana Museum of Modern Art, Humlebæk e Susanne Kleine
Catalogo: Marsilio Editori, Venezia (prezzo 40 euro; 34 euro in mostra)
AVVERTENZA: Avvertiamo i visitatori che alcune opere in mostra presentano contenuti sensibili. Raccomandiamo
l’accompagnamento di un adulto per i minori di 14 anni.