Polinesia. Fakarava, isola di paradisi marini e tatuaggi
Fakarava, l’isola sognata, quella che continui a chiederti se esiste davvero. Poi rivedi le foto che profumano ancora di tiaré, i tatuaggi, storytelling on the skin, dei polinesiani e sai che grazie a loro hai scoperto l’isola.
Il primo comandamento del viaggiatore per conoscere un luogo è scoprirlo attraverso i suoi abitanti, le loro tradizioni e la loro cultura. Questo vale anche per la Polinesia, la cui gente è come la natura in cui vive, ridente e accogliente. Non ultimo, il fatto di evitare costosissimi resort – oltre a non farvi soggiornare tra europei e americani, mangiare gli stessi piatti internazionali che avreste gustato a casa – vi farà vivere immersi nella natura, dormire in un autentico faré (alloggio polinesiano), mangiare il pesce appena pescato al cocco (esperienza indimenticabile), raccogliere e gustare frutta tropicale, spendendo molto meno. I polinesiani abitano l’oceano, sono abilissimi nella pesca, nella navigazione e in qualsiasi altra attività acquatica.
Fakarava è una delle Isole Tuamotu (Polinesia francese). Atolli che hanno l’aspetto di corone di corallo di diversa grandezza disseminati su una superficie marina molto vasta. Una delle lagune più belle (specchi di mare all’interno di queste corone) è quella di Rangiroa che, come Fakarava, ha l’anello interrotto da pass, un canale che la mette in comunicazione con l’oceano.
Qui la compenetrazione con la natura è tale che anche i nomi di persona fanno sempre riferimento a qualche elemento del creato. A volte sembrano versi: ‘Fetia Arii’ (re delle stelle cadenti), come i suoi occhi che sembravano in effetti stelle, o ‘Raimaru’ (cielo nuvoloso). Spesso i polinesiani, come Raimaru, si distinguono per i loro tatuaggi, simboli della loro identità. A Tahiti si racconta che l’arte di tatuare abbia un’origine divina, un dono fatto agli uomini dagli dei. Essendo indelebili si riteneva sopravvivessero alla morte, così da costituire testimonianza della persona nel mondo ultraterreno, una sorta di carta di identità.
La parola ‘tattoo‘ (da cui ‘tatuaggio’) deriva dal polinesiano ‘tatau’ che vuol dire “battere” o “marchiare”. Indica il picchiettare del legnetto sull’ago per bucare la pelle. Questo era l’antico modo di fare tatuaggi, battendo, appunto, con un bastoncino di legno sulla punta che incideva la pelle. Già il capitano James Cook raccontava nel suo diario: “Decorano i loro corpi con piccole incisioni, o pungendo la pelle con piccoli strumenti fatti di ossa e denti di animale. Le incisioni vengono colmate con una mistura blu scura o nera ottenuta dal carbone di una pianta oleosa. Questa operazione, chiamata dagli indigeni tattaw, lascia un segno indelebile sulla pelle”. Dall’albero Ti’a’iri si ricavava l’inchiostro per eseguire i tatuaggi. Venivano bruciati i frutti dell’albero, simili a noci, miscelati con olio o acqua per ottenere un liquido omogeneo. Per garantire la tenuta dell’inchiostro alla mistura veniva aggiunto zucchero di canna o succo di noce di cocco. Per completare un tatuaggio potevano servire giorni, mesi o addirittura anni. Oggi le tecniche sono molto cambiate e il tatuaggio è diffuso nelle isole dove si incontrano persone del luogo con disegni davvero particolari tatuati sul corpo o sulla faccia.
Cook morì nel 1779 alle Hawaii ucciso per vendetta dagli indigeni. Seguendo i riti funerari tribali dell’epoca gli fu riservato lo stesso trattamento dei capi e dei personaggi importanti. Il corpo, dopo essere stato bollito per facilitare la rimozione della carne, fu eviscerato e le ossa ripulite per essere conservate. Alcuni resti delle sue spoglie furono poi restituite agli inglesi, che lo seppellirlo in mare.
In Europa i tatuaggi erano considerati un esotismo, un fenomeno strabiliante. In Inghilterra la famiglia reale, nel 1691, ebbe occasione di ammirare, come un fenomeno da baraccone, il primo uomo interamente tatuato (il principe Giolo delle Filippine), catturato, acquistato dall’ufficiale di marina William Moddy e trasportato a Londra dal pirata ed esploratore William Dampier. Il principe Giolo venne esposto al pubblico e morì di vaiolo tre mesi dopo. Quanto il tatuaggio fosse un elemento significativo lo testimonia la cattura e la condanna (1789) degli ammutinati del Bounty identificati grazie ai tatuaggi che si erano fatti fare nell’isola di Tahiti.
Il tatuaggio, bandito dalla religione cristiana e praticato da marinai e carcerati, acquisì una connotazione immorale. Infine nella seconda metà dell’800 i ricchi e i nobili si facevano tatuare per il gusto di trasgredire. Prima dell’arrivo degli Europei il tatuaggio era un simbolo sociale identitario. Era talmente diffuso e legato alla tradizione del luogo che era impossibile per un tahitiano non averne. Poteva infatti indicare la tribù o la famiglia di appartenenza, il livello sociale dell’individuo o l’indicazione della sua provenienza geografica. Esistevano disegni caratteristici per le diverse classi sociali, come quella dei celebranti religiosi, dei capi e dei guerrieri. Il tatuaggio rappresentava alcune tappe importanti della storia sociale dell’individuo. Per esempio il passaggio dall’infanzia alla pubertà, il matrimonio o la nascita di un figlio. O poteva raffigurare eventi nella sua storia personale, come vittorie in guerra, riconoscimenti per essere un buon cacciatore o pescatore. Soprattutto nel Pacifico (Hawaii, Isole Marchesi e Nuova Zelanda) il tatuaggio ha raggiunto le sue espressioni migliori.
Gli antichi artisti polinesiani (i Tahu’a tatau), alla fine dell’incisione, trattavano la pelle tatuata con succo di banana o di Ahi Tutu (l’albero del sandalo) e l’accarezzavano con foglie e spugne per lenire l’irritazione. I disegni, che potevano riguardare tutto il corpo, erano semplici e geometrici. Avere disegni ampi sul corpo significava essere potenti, nobili, valorosi. Una donna tatuata era affascinante e desiderata. Tra i Maori uno dei tatuaggi più diffusi, anche per le donne, era il moko, che stava ad indicare il passaggio all’età adulta, per la donna con l’avvento del menarca. Questo tatuaggio era eseguito con un rito ben preciso da tatuatori autorizzati definiti Tohunga ta Moko e ricopriva l’intero mento della ragazza.
Con il passaggio alla fase adulta i ragazzi entravano a far parte della comunità. Per gli uomini il tatuaggio poteva estendersi su tutto il volto e quelli più complessi erano riservati ai capi e alla loro famiglia. Ogni simbolo, spesso legato alla natura, aveva un significato ben preciso. Per esempio nella tradizione maori gli Atua (Dei) erano rappresentati da lucertole, associate alla fortuna e alla vita. La balena, per le sue dimensioni, significava abbondanza, famiglia e nutrimento. Anche il posizionamento dei tatuaggi maori assume un significato diverso secondo la zona su cui sono eseguiti. In generale la parte superiore del corpo è riferita alla sfera spirituale, quella inferiore al mondo terreno e materiale mentre le spalle o i glutei stanno a indicare un evento passato. Le braccia e le spalle sono dedicate al coraggio, alla forza e ai combattimenti.
Ritornando al nostro punto di partenza, il tatuaggio sulle spalle (forza e coraggio) di Raimaru raffigura un’arma. Le Kotiate (significato letterale: “tagliare il fegato”) erano armi preziose in battaglia. Erano preferite dai capi in occasione dei loro discorsi. Quest’arma presenta due profondi intagli in entrambi i lati ed è realizzata in legno o in pietra. In combattimento il guerriero poteva spingerla nell’addome del suo nemico, rigirarla e annientarlo. Le fenditure da entrambi i lati impigliavano l’intestino e dopo aver estratto l’arma le conseguenze per l’avversario erano fatali.
Questo scenario cruento è molto lontano oggi dalla natura edenica e dall’atmosfera pacifica della Polinesia e dei suoi abitanti. A Fakarava solo mettendo i piedi nell’acqua sarete circondati dai grandi pesci multicolori di queste foto. Fare snorkeling nel pass è un’avventura indimenticabile dove potete incontrare mante, squali e pesci napoleone. Non ultimo potete farvi lasciare su un motu (isola) deserto con scorte di viveri e acqua…
Foto di Marco De Felicis
Sito turismo: https://www.tahiti-tourisme.it/scopri-tahiti/
Sito Raimiti a Fakarava: https://www.raimiti.com/index.php?lang=it