FRIDA KAHLO. Oltre il mito, al Mudec a Milano
A Milano, al MUDEC – Museo delle Culture di Milano, una mostra a forte impatto emotivo su Frida Kahlo (1907-1954). Fino al 3 giugno 2018.
Solo entrare e visitare il MUDEC è un autentico piacere estetico, uno spazio moderno che, oltre alla collezione permanente, ospita nei suoi ampi spazi più di una mostra. Questa sulla famosa artista messicana poteva correre il rischio di essere simile a quella di Frida alle Scuderie del Quirinale a Roma del 2014, ma, pur condividendone poche opere, questa risulta diversa e più ricca a livello documentario. È il risultato di sei anni di ricerche basati anche su materiali inediti di archivio. La mostra si propone di rintracciare la poetica dell’artista andando oltre i limiti della rappresentazione morbosa della sua biografia e del mito consolidato, alimentato dalle mode.
Emergono temi come la sua ricerca cosciente dell’Io, l’affermazione della “messicanità” e la sua leggendaria forma di resilienza.
La mostra riunisce in un’unica sede, per la prima volta in Italia, tutte le opere provenienti dal Museo Dolores Olmedo di Città del Messico e dalla Jacques and Natasha Gelman Collection, le due più importanti collezioni di Frida Kahlo al mondo. Sono esposte più di cento opere provenienti da musei internazionali, alcune mai viste nel nostro Paese, tra dipinti (una cinquantina), disegni e fotografie.
L’allestimento è molto curato e raffinato, con opere esposte su pareti scure colorate, luci focalizzate sui quadri, unica pecca l’illuminazione sulle didascalie che in alcuni casi risultano scarsamente leggibili impedendone la lettura a distanza a più visitatori contemporaneamente. L’esposizione è allestita secondo un un criterio analitico delle opere, attraverso quattro sezioni: Donna, Terra, Politica e Dolore.
Frida Kahlo, nata nel 1907 dichiarava di essere nata nel 1910, in concomitanza con la Rivoluzione Messicana. Dopo la fine della sanguinosa rivoluzione molti artisti e intellettuali furono attratti dal Messico: Tina Modotti, Edward Weston, Antonin Artaud, André Breton e Leonor Carrington. Frida ha sempre esposto il suo corpo impudicamente, fino a renderlo sacrificale e politico. Un corpo che è linguaggio per esprimere dolore, ansie e desideri. Nei suoi autoritratti c’è la sua biografia: le sue menomazioni fisiche e psichiche, l’incidente che l’ha mutilata, gli aborti (bambine mai nate trasformate in bambole), la passione, l’amore e i tradimenti di Diego Rivera (suo marito, di venti anni più vecchio).
Per il loro quindicesimo anniversario di matrimonio Frida dipinse il doppio ritratto, Diego e Frida, come regalo per Diego. il dipinto è l’espressione del suo amore così intenso da sentirsi una cosa sola con il marito, infatti le due metà del viso si completano in un volto.
Frida si è sempre identificata con la sua terra e il suo Paese. Molte sono le opere in cui lei si raffigura in relazione simbiotica con la natura. La terra per lei è vita, radici e morte. Nel quadro La mia nutrice e io la balia ha una maschera funeraria precolombiana. Del resto Frida non poteva ricordare il volto della nutrice da cui era stata allattata, perché sua sorella Cristina era nata undici mesi dopo di lei. La figura gigantesca allude alla Grande Dea Madre della Terra, che dà la vita e la morte.
Nel dipinto L’abbraccio d’amore dell’universo, la terra (Messico), io Diego e il signor Xólotl Frida inserisce elementi dell’antica mitologia messicana. Sole e luna, giorno e notte, la dea della Terra Cihuacoatl, fatta di fango e pietra e dal cui grembo nascono le piante, tiene nel grembo Frida e lei tiene nel suo grembo, come un figlio, Diego. Lei, come la dea, dà la vita ma lui ha il terzo occhio della saggezza sulla fronte. La figura alle spalle della dea è la madre dell’universo che abbraccia Cihuacoatl. In primo piano il signor Xólotl, divinità azteca dalle sembianze di cane che aiuta i morti nel loro viaggio e qui accompagna Diego e Frida. Il dipinto celebra il ritrovato rapporto tra i due, dopo la rottura di Diego con Maria Felix.
Nell’Autoritratto del 1940, Frida porta un colibrì sul petto, con le ali spiegate come le sopracciglia dell’artista. I colibrì nella cosmogonia azteca sono in relazione con il culto della divinità solare e nella cultura teotihuacana sono simbolo di reincarnazione e dei prigionieri offerti sull’altare dei sacrifici. Inoltre il colibrì, nell’Autoritratto, è appeso a una collana di spine con chiara allusione alla corona di spine del Cristo, che si è sacrificato per l’umanità.
Il corpo di Frida Kahlo è anche un manifesto della protesta e dell’opposizione, dilaniato tra giustizia e ingiustizia, bene e male, forza e fragilità, libertà individuale e controllo sociale. Un corpo sacrificale che spesso enuncia una funzione catartica. Le sue opere, come il suo corpo, non possono essere svincolate dal contesto storico e culturale in cui sono rappresentati temi come quelli legati all’etnia e alla lotta di classe. Scrisse esplicitamente: “Devo lottare con tutte le mie forze affinché il poco di positivo che la mia salute mi permette ancora di fare sia indirizzato ad aiutare la rivoluzione”.
L’ultima sezione della mostra, dolore, è una esperienza nell’iconografia della sofferenza a cui è impossibile restare indifferenti e non commuoversi. Frida crea immagini disturbanti, la cui forza è finalizzata a smantellare l’indifferenza. La sua arte oscilla tra macabro e sacro, tra morte e vita, creando turbamenti e ansie in chi le osserva. Come rimuove il confine tra privato e pubblico così rimuove il limite tra la vita e la morte.
Nel suo L’autobus viene rievocato il suo incidente del 1925, quando il bus su cui viaggiava, con il suo fidanzato Alejandro Gómez Arias, si scontrò con un tram, costringendola a un lungo periodo di immobilità, all’applicazione di una protesi alla gamba e a un busto per la colonna vertebrale. Ma il dipinto è allo stesso una rappresentazione delle classi sociali messicane: la casalinga, un operaio con la salopette blu, una donna indigena a piedi nudi che allatta, un ragazzino, un borghese ben vestito con in mano un sacco di soldi e una ragazza che somiglia a Frida.
Il 4 luglio 1932 Frida patì il suo secondo aborto all‘Henri Ford Hospital di Detroit. In questo dipinto si ritrae nuda sdraiata sul letto con le lenzuola sporche di sangue e una grande lacrima che le scende dall’occhio sinistro. La lumaca, come lei stessa spiegò, allude al lento aborto, mentre la macchina allude a tutti gli strumenti invasivi inseriti nel suo corpo. Nell’angolo a destra c’è il bacino fratturato che le impedì di avere figli, il paesaggio industriale sullo sfondo è un riferimento al capitalismo che aveva attirato Rivera negli Stati Uniti.
Un altro punto a favore di questa iniziativa culturale è la mostra Il sogno degli antenati, parte integrante del percorso espositivo. Lungo due vetrine curve sono esposti oggetti archeologici ed etnografici messicani della collezione permanente del MUDEC, che dimostrano come il passato precolombiano e il mondo indigeno siano stati elementi non secondari della poetica dell’artista messicana.
Nella Casa Azul, dimora di Frida e Diego, c’era una sala per accogliere parte della collezione archeologica della coppia: sculture azteche, ceramiche di Teotihuacan e del Messico occidentale, e manufatti precolombiani che compaiono nelle opere della pittrice. Dal patrimonio iconografico azteco, con immagini sanguinarie, Frida ha attinto, come nel caso dei cuori insanguinati, per strutturare un proprio lessico simbolico del dolore e della sofferenza fisica.
Così Frida scrisse tristemente: “Mi auguro che l’uscita sia allegra e spero di non tornare mai più”. Come non emozionarsi e commuoversi.
La mostra Frida Kahlo. Oltre il mito è promossa dal Comune di Milano-Cultura e da 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE, che ne è anche il produttore, curata da Diego Sileo, e organizzata in collaborazione con l’Instituto Nacional de Bellas Artes (INBA) del Governo della Repubblica del Messico.
Ogni giovedì il MUDEC ospita un ciclo di conferenze, con studiosi della cultura messicana, dedicate alla scoperta del Messico.
Foto, tranne dove diversamente indicato, di Marco De Felicis
Informazioni
SEDE: MUDEC – Museo delle Culture –
via Tortona 56, 20144 Milano
PERIODO DI APERTURA: fino al 3 giugno 2018
ORARI MOSTRA: lunedì 14.30 – 19.30
martedì – mercoledì 9.30 – 19.30 g
giovedì – venerdì – sabato 9.30 – 22.30
domenica 9.30 – 20.30
La biglietteria chiude un’ora prima (ultimo ingresso)
APERTURE STRAORDINARIE:
Domenica 1 aprile (Pasqua), 9.30 – 20.30
Lunedì 2 aprile (Lunedì dell’Angelo), 9.30 – 19.30
Lunedì 23 aprile, 9.30 – 19.30
Mercoledì 25 aprile (Anniversario della Liberazione), 9.30 – 19.30
Lunedì 30 aprile, 9.30 – 19.30
Martedì 1 maggio (Festa dei Lavoratori), 9.30 – 19.30
Sabato 2 giugno (Festa della Repubblica), 9.30 – 22.30
PREZZI: INGRESSO SINGOLO INTERO 13,00 € –
INGRESSO SINGOLO RIDOTTO 11,00 €
INFORMAZIONI E PREVENDITE: Tel. 0254917 –
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