Lazio, Bassano Romano. Villa Giustiniani Odescalchi, una meraviglia della Tuscia a ingresso gratuito
Villa Giustiniani Odescalchi da set cinematografico de “La dolce vita” a tesoro e meraviglia del Lazio
Della bellezza della villa Giustiniani Odescalchi fu sedotto Federico Fellini che la scelse come set de La dolce vita (1960). All’epoca il palazzo era ancora privato e solo dopo anni di incurie e negligenze la famiglia Odescalchi, nel 2001, decise di venderlo, a causa dell’impossibilità di far fronte agli oneri per la sua manutenzione, insieme ai suoi ettari di giardini allo Stato italiano, che lo ha affidato, nel 2003, al Ministero della Cultura. Il palazzo, salvato dal degrado, è un “fratello” non minore dei palazzi storici romani. Nonostante la carenza degli arredi, portati via nel tempo, il palazzo è una splendida galleria di affreschi. Saloni dipinti dai famosi pittori che operavano anche a Roma. Un bene artistico che merita continue, e costose, opere di conservazione e restauro.
A tal fine risulta incomprensibile, seppure un regalo a chi lo visita, l’ingresso gratuito. All’estero un bene artistico di questa portata sarebbe valorizzato e fonte di reddito. Si potrebbero allestire (quando il covid lo consentirà) mostre al suo interno, manifestazioni in estate nei suoi stupendi giardini (attualmente in manutenzione) e organizzare visite guidate. Ma quanto meno prevedere l’acquisto del biglietto online (con poca spesa), che servirebbe a contribuire al mantenimento e conservazione dell’imponente e affascinante palazzo.
Bassano Romano, a circa 55 chilometri a nord di Roma, sorge su un rilievo di tufo vulcanico (450 m s.l.m.). Nel XIV secolo la famiglia degli Anguillara, a cui si deve il piano interrato e il piano terra (con una pianta a C che si apre sui giardini), possiede una parte del feudo di Bassano e, nel 1400, ne condivide la proprietà con i Savelli.
Il feudo di Bassano risulta in pieno possesso di Giovanni dell’Anguillara di Ceri nel 1505. Gli Anguillara, nel 1595, vendono il castello a Giuseppe Giustiniani (membro di una famiglia di banchieri genovesi). Nel 1605 Bassano diventa marchesato e poi principato. La principessa Odescalchi acquista, nel 1854, l’ex feudo di Bassano dal marchese Leonardo Giustiniani.
Nel Seicento i Giustiniani trasformano il castello (XII sec.) in Villa-Palazzo: viene aggiunto il piano nobile collegato ai giardini da un ponte levatoio, vengono costuite le mura intorno al parco di 24 ettari (con casino di caccia), poste statue, fontane e giochi d’acqua e viene costuita la chiesa di San Vincenzo Martire. In tal modo Bassano, gloria della colta famiglia Giustiniani, diventa una meta internazionale, ospita il papa e principi (tra cui Giacomo II Stuart).
Già dall’ingresso al palazzo si comprende che siamo al cospetto di un’opera importante nel panorama artistico e culturale della fine del Cinquecento e primi anni del Seicento. La progettazione del palazzo è attribuibile alla scuola dei Sangallo, il portale di ingresso a “bugnato” è molto simile a quello di palazzo Farnese a Roma (progettato da Antonio di Sangallo).
La famiglia Giustiniani di Genova costituì la società mercantile “Maona”. Questa amministrò dal 1362, per conto della Repubblica genovese, l’isola di Chios (Scio) nell’Egeo nord-orientale. Lasciarono Chio nel 1566 a seguito dell’occupazione turca, per stabilirsi a Roma.
Il feudo di Bassano passò nel 1600 da Giuseppe al figlio Vincenzo Giustiniani, nominato (1605) da papa Paolo V Borghese marchese di Bassano. Al fratello Benedetto toccò il palazzo romano (acquistato da monsignor Flavio Vento nel 1589) di fronte alla chiesa di San Luigi dei Francesi.
Vincenzo(Chios 1564 – Roma 1637), colto e intellettuale, trasformò, con la sua passione antiquaria, il palazzo in una dimora-museo, da cui, purtroppo, sono scomparsi arredi e opere d’arte. Vincenzo era noto per le sue collezioni di statuaria antica e per essere un ammiratore di Caravaggio, ne acquistò diverse opere. Alla morte di Vincenzo la sua collezione contava 1200 sculture, 300 dipinti tra cui 15 opere di Caravaggio. Tutte le opere sono state inventariate nei due tomi della Galleria Giustiniana. Entrambi i fratelli Giustiniani furono tra i più grandi collezionisti e mecenati del XVII secolo. La collezione che contava 822 dipinti (grazie anche alla confluenza delle opere di proprietà dei Savelli) venne dispersa, nell’Ottocento, per sopperire ai debiti. Molti dei suoi dipinti si trovano oggi a Berlino, alla National Gallery e all’Ermitage. Mentre molte sculture antiche sono confluite nella collezione Torlonia e nei Musei Vaticani.
Vincenzo, amico del cardinal Francesco Maria del Monte, era amante dei viaggi e della caccia, inoltre ha scritto trattati di architettura, musica e arte.
Nel suo testamento (1631) vincola con fidecommesso le sue collezioni d’arte affinchè non siano alienate. Il suo patrimonio poteva essere trasmesso integro soltanto alla primogenitura maschile in perpetuo: “E però voglio ordino e comando che le dette statue et quadri et altre cose di marmo e di metallo sodette dal mio erede universale e da tutti quelli che li succederanno nella mia eredità e fideicomisso come e come di sotto dichiarerò non si possano mai vendere ne alienare in qualsiavoglia modo ne in tutto ne in parte…”. Mentre potevano essere venduti gioielli, arredi, cavalli e altro.
L’architetto del palazzo resta ancora ignoto anche a causa della dispersione degli archivi degli Anguillara. Nell’inventario del 1638 le sale dell’appartamento al primo piano risultano coperte da corami (rivestimenti in cuoio lavorato) che ne confermano l’uso residenziale.
Entrando nella corte si evidenzia in tutta la sua bellezza la loggia e sulle pareti esterne gli affreschi (1603-1605) sbiaditi con scene di trionfi e allegorie di Antonio Tempesta, pagati 200 scudi. Da una porta a destra della fontana si accede a un piccolo teatro (1699 – 1700) dal doppio ordine di palchetti in legno aggettanti sulla platea e senza divisori. Il teatro ospitava fino a 200 spettatori. Salendo al primo piano la loggia decorata a grottesche risale al periodo degli Anguillara (1560 circa), ma non se ne conoscono gli autori. La sua pavimentazione bicroma (1603) è opera dell’architetto genovese Giovanni Battista Casella.
Sulla volta del Salone dei Cesari campeggia lo stemma Giustiniani. Gli affreschi della volta della Sala di Amore e Psiche risalgono al 1605 e sono opera del genovese Bernardo Castello. La favola di Amore e Psiche, tratta da Le metamorfosi di Lucio Apuleio, era già stata rappresentata, un tema molto in voga all’epoca, da Raffaello nella Loggia della Farnesina. Eros si innamora della mortale Psiche (anima), la porta nel suo castello e, per non incorrere nelle ire della madre Venere, impone che gli incontri sarebbero dovuti avvenire solo al buio. Psiche, istigata dalle sorelle, vuole conoscere il volto dell’amato ma le cade una goccia di olio dalla lampada che sveglia Amore che fugge irato. Per tale affronto Venere la punisce. Psiche supera le prove negli inferi, Giove si muove a compassione e accoglie i due amanti nell’Olimpo donando a Psiche l’immortalità.
Segue la Sala della Primavera i cui affreschi sono da attribuire a seguaci di Federico Zuccari. Nella Sala dell’Estate c’è l’ovale con la veduta di Bassano. Intorno all’ovale lo stemma con le anguille e le rosette (Anguillara e Orsini) che riconduce a Lelio sposato con Maria Maddalena Orsini. La stanza del Parnaso era lo studiolo di Vincenzo Giustiniani. La qualità degli affreschi fa presumere che l’autore potrebbe essere stato nel novero di quelli che dipinsero la galleria di palazzo Giustiniani a Roma. Forse lo stesso Antonio Tempesta che fu tra i primi artisti che Vincenzo chiamò a Bassano. Il tema della stanza è senz’altro la passione per le arti del committente. Al centro della volta Apollo sul Parnaso è circondato dalle Muse e da Minerva, agli angoli nature morte e un tripudio di strumenti musicali, un omaggio alla musica tanto amata da Vincenzo.
Sui lati lunghi la veduta di Genova (città di origine dei Giustiniani) e quella di Chios (denominata Scio), dove Vincenzo era nato e dove la sua famiglia aveva governato per la Repubblica di Genova fino al 1566. Sui lati corti il simbolo dello stemma Giustiniani: l’aquila. Segue il Camerino del Paradiso con affreschi commissionati, forse da Porzia degli Anguillara ed eseguiti (1570 circa) da pittori della cerchia di Federico Zuccari, con più probabilità dai Giustiniani dopo il 1595. Al centro della volta Cristo tra una gloria di angeli e ai lati quattro storie di Mosè. Forse il camerino era la cappella del palazzo o forse, considerato il soggetto religioso, era destinato alla signora. Nella Stanza dell’Autunno la discontinuità qualitativa degli affreschi ha fatto ipotizzare una datazione nel periodo degli Anguillara: 1563 -1572. Come la precedente la Stanza dell’Inverno era coperta da cuoi.
Nella Sala della Cappella era esposto, sopra la colonna di cipollino (ancora in sede) il busto di Innocenzo X dell’Algardi (oggi nel Museo Nazionale di Palazzo Venezia a Roma). La pala d’altare è una copia fotografica del dipinto originale, una Natività che, dopo la vendita della villa allo Stato, gli Odescalchi hanno portato via. Nella volta è dipinto lo stemma araldico degli Odescalchi (1941). La Sala dell’Eterna Felicità (o del Cavaliere, dal nome dell’autore degli affreschi: il Cavaliere Paolo Guidotti Borghese). Artista poliedrico Guidotti fu nominato “cavaliere” da papa Paolo V che gli concesse di usare anche il suo cognome “Borghese”.
Sulla volta si vede un cielo stellato con una figura nuda che tiene il mano il Sole e la Luna.
Agli angoli stanno quattro troni con sopra lo stemma dei Giustiniani. Qui siedono le personificazioni di virtù: la Purezza, il Sacrificio di sé, il Dispregio del mondo, la Sapienza che discende da Dio. Sui lati sono dipinti: il Giudizio di Salomone, Giuditta e Oloferne, Susanna e i vecchioni e Giuseppe e la moglie di Putifarre. Per compensare l’irregolarità della sala il pittore ha aggiunto quattro coppie di talamoni. Assistiamo al gusto per l’artificio tipico del manierismo attraverso una commistione di architettura, scultura e pittura.
In un crescendo di meraviglia si arriva al Camerino di Diana, dipinto dal Domenichino (Domenico Zampieri, 1581 – 1641) nell’estate del 1609. Il pittore si ispirò ad alcune composizioni della Galleria Farnese a Roma, dove aveva lavorato (1604 – 1605) sotto la direzione di Annibale Carracci.
Agli angoli quattro putti giocano con un corno e un cane da caccia, chiaro riferimento a Diana (dea della caccia, passione di Vincenzo). Al centro una tenera scena con Latona e i suoi figli Diana (identificata dalla falce di luna sulla testa) e Apollo che succhia il latte dal seno. Poi Diana e Endimione (l’amato mortale), Diana e Pan, Diana e Atteone (stupefacente la trasparenza dell’acqua) il Sacrificio di Ifigenia. Spettacolare è la Galleria, dipinta nell’ultimo semestre del 1609, da Francesco Albani (1578-1660) con la Caduta di Fetonte dal carro, tratta dalle Metamorfosi di Ovidio. Il pittore bolognese, della scuola dei Carracci, ebbe come collaboratori Prospero Orsi e Giovanni Giacomo (già attivi nelle Logge Vaticane).
Albani interpreta in maniera moderna le pareti, rinuncia a ripartirle, preferendo ricorrere all’artificio dei finti arazzi. Inserendo la balaustra dipinta sul soffitto rende la rappresentazione verosimile. Sulle pareti gli effetti negativi della caduta di Fetonte.
Sulle due pareti corte: Venere con le ancelle e le Sirene. Sopra le due porte due finti rilievi: Ulisse che si protegge dal fascino sensuale di Circe e Adone che resiste alle tentazioni di Venere. Il tema è la necessità di unire i sensi e l’intelletto. Nella volta sono raffigurati gli dei e le costellazioni zodiacali. Giove con la sua aquila, chiaro riferimento al committente, ripristina l’ordine facendo precipitare Fetonte.
Una doppia scalinata a tenaglia collega il ninfeo al “Giardino dei quadri”. Al di à della balaustra si estende un vasto giardino all’italiana. In fondo la Rocca, costruita tra il 1607 e 1617, con cinque torrette merlate; rivelatesi in seguito staticamente pericolose furono poi demolite. Probabilmente l’architetto della Rocca fu Carlo Maderno, attestato tre volte a Bassano. All’esterno del palazzo dei quattro grandi busti nelle nicchie ne è stato, recentemente e misteriosamente, trafugato uno.
Informazioni
Villa Giustiniani Odescalchi orari.
Dove mangiare
AgriRistoro Il Calice e la Stella di Felice Arletti
Aperti dal giovedì alla domenica. Il pranzo è servito.
Osteria Moderna, Cucina della Tradizione.
www.ilcalicelastella.it
telefono 3289024761
P.zza Garibaldi 9 – Canepina
A circa mezz’ora da Bassano, vicino Viterbo, vale un viaggio! Materie prime locali ma anche stagionalità e freschezza. Antichi piatti della tradizione locale però rielaborati in originali e squisiti accostamenti di sapori. Accoglienza e un menù che ogni volta sorprende. Consigliato dalle migliori guide. Ottimo rapporto qualità-prezzo.
Cosa acquistare
Nella zona si trova dell’ottimo olio, ma anche formaggi.
A circa 20 minuti da Bassano a Vetralla.
I Sapori che Viaggiano nel Tempo di Giancarlo Pitzalis
Indirizzo: SR2, 1, ss Cassia km 69,3 dopo il bivio della SPVetrallese – Vetralla VT
Telefono: 334 887 7658
Anche a Roma il sabato e domenica presso: Farmer’s Market – piazza Ragusa, San Giovanni.