Memoria, i misteri di richiami ancestrali
Il nuovo film di Apichatpong Weerasethakul, “Memoria”, dal 16 giugno al cinema
Il nuovo film di Apichatpong Weerasethakul, Memoria, premio della Giuria al 74esimo Festival di Cannes (distribuito da Academy Two), sarà proiettato dal 16 giugno in alcuni cinema selezionati e tra qualche mese su MUBI. Apichatpong Weerasethakul, thailandese, è riconosciuto come una delle voci più originali del cinema asiatico e internazionale. Nel 2010 è stato premiato a Cannes con la Palma d’Oro, dalla giuria presieduta da Tim Burton, per Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti.
Memoria è la storia di una donna che scopre di essere un punto di congiunzione tra presente, passato e futuro, una donna-antenna. Jessica (Tilda Swinton) è una botanica che dalla Scozia arriva a Bogotà (Colombia) per far visita alla sorella malata. Nella notte, all’improvviso, viene svegliata da un boato assordante che le fa pensare a dei lavori in corso. Un rumore che sentirà di nuovo anche durante il giorno e di cui prova a rintracciare l’origine. Si rivolge a un tecnico del suono, Hernàn, presso uno studio di registrazione. Nella sua ricerca incontra a Bogotà l’archeologa Agnés che sta studiando alcuni resti umani, vecchi di 6000 anni, rinvenuti durante lo scavo per un tunnel sotto le Ande.
Durante il suo viaggio nel cuore della foresta amazzonica incontra un altro Hernàn, un pescatore che vive lontano dalla civiltà e che la aiuterà a comprendere l’origine degli strani rumori che la tormentano. La scena che inquadra Hernàn dormiente mette alla prova la resistenza dello spettatore. I due Hernàn sono gli “assistenti” che aiutano Jessica ad accedere a un’altra dimensione. Lei riesce a captare dei segnali, richiami provenienti da altre sfere, appartenenti a un mondo sotterraneo, interiore, invisibile eppure in qualche modo connesso. Il film è giocato su ricordi e rimozioni che in qualche modo forzano l’impermanenza della realtà e interrompono il flusso continuo della vita.
Il regista: “Da bambino ero attratto da giungle, animali e montagne. Durante gli anni Settanta, sono cresciuto leggendo romanzi sui cacciatori che cercano tesori di civiltà perdute. Tuttavia, la Thailandia non possiedere antichi imperi pieni di oro, né tribù di cacciatore di teste, né anaconde. Quarant’anni dopo sono ancora attratto da tali paesaggi ma ora sono coperti con strati di altre storie. Sono attratto dalla storia dell’America Latina come se fosse una parte mancante della mia giovinezza. Sono venuto in Colombia per raccogliere espressioni e ricordi, non l’oro amazzonico”. Il film racconta il mondo di Apichatpong che ha una memoria di cui è permeato. Secondo lui la natura è una stratificazione di storie. Persone come Jessica possono percepirne e vederne i ricordi.
Quante volte ci siamo svegliati di soprassalto convinti di aver sentito un rumore, un boato? È quello che è accaduto spesso, all’alba, al regista durante il suo soggiorno in Colombia. Un suono interno, che viene dal profondo. Dal passato, dalla madre-terra ferita, dall’inconscio? Sonoro, memoria e passato per un attimo si sincronizzano e si passa in un’altra, inquietante, dimensione. Un viaggio nel tempo o nello spazio che non poteva trovare migliore interprete che Tilda Swinton, attrice androgina, aliena, enigmatica e magnetica. Il film sembra stato creato per lei: magica, misteriosa, capace di catturare l’attenzione dello spettatore e fargli sospendere il giudizio, tra razionale e irrazionale, fino alla fine. Si tratta di una sindrome sensoriale, di un inconscio che prepotentemente riemerge o di una natura ancestrale che affiora? I piani temporali si confondono e intersecano, Jessica è posseduta o siamo noi a essere stati catturati?
Apichatpong Weerasethakul: “Immagino le montagne qui come espressione dei ricordi delle persone attraverso i secoli. Le enormi sierre, con le loro pieghe e insenature, sono come le pieghe del cervello, o le curve delle onde sonore. Con decine di atti di violenza e traumi, il terreno si gonfia e trema, per diventare un paese con frane e terremoti senza fine. Il film stesso sta anche cercando un equilibrio in questa topografia attiva. I suoi scheletri, le immagini e suoni, vengono scossi. Forse questo è un “punto debole” in cui io e questo film possiamo sintonizzarci, uno stato in cui l’illusione è la norma”.
Interpretazione superlativa di Tilda Swinton da far sembrare questo film creato per lei.