Doppio amore, il gioco di specchi di Ozon

“Doppio Amore”,  il film su un inquietante gioco di specchi, scritto e diretto da François Ozon, in sala da giovedì 19 aprile.

François Ozon (Parigi, 1967), regista e sceneggiatore francese seduttivo come Brian De Palma riprende il tema, caro alla psicoanalisi, del “doppio”: inquietante e patologico, perturbante e familiare.
La prima scena del taglio dei capelli di Chloé (Marine Vacht), in primo piano,  racchiude la fine del film, la trama è circolare e alla fine si torna all’inizio. Il cinema di Ozon è fatto di svelamenti progressivi, come per Frantz. Il regista svela i suoi riferimenti sin dalle prime scene, sono numerose le citazioni di capolavori di maestri del cinema.

Jérémie Renier e Marine Vacht

Nella scena d’effetto colposcopia-dissolvenza-occhio il riferimento è a Un chien andalou (cortometraggio del 1929 scritto, interpretato da Luis Buñuel e Salvador Dalí e diretto da Buñuel); le scale a chiocciola vertiginose ricordano Hitchcock; gli stupendi interni raffinati e freddi dell’appartamento di Louis (il gemello rude e sessualmente attraente), in modo contrappuntistico, fanno esplodere il calore della passione e ricordano quelli di Nove Settimane e mezzo (storia ad alto tasso erotico) mentre la pancia che si apre sembra una citazione di Alien.

Jérémie Renier e Marine Vacth

La storia sembra il classico colpo di fulmine della paziente, Chloé (l’androgina Marine Vacht), che si innamora del suo analista, Paul (Jeremie Renier). Ma dopo che vanno a vivere insieme la ragazza si imbatte in un uomo pressoché identico a Paul dal carattere rude. Paul le nasconde qualcosa: si tratta di Paul, con una doppia identità, o di un gemello misterioso? La storia diventa torbida.
L’Amand Double, tratto dal romanzo breve Lives of the Twins di Joyce Carol Oates, gioca tra seduzione e inganno, esplora la nevrosi, il sesso e i lati oscuri della personalità. Al tempo stesso il film è passionale, carnale, il suo focus è l’identità sessuale e la percezione del sé. Anche le sculture del museo in cui Chloé lavora sono una sua raffigurazione. 

Jérémie Renier e Marine Vacth

Con la dissolvenza vagina-occhio François Ozon svela allo spettatore che la natura del disturbo di Chloé risiede nella sessualità. Se il problema dei dolori all’addome è psico-sessuale la soluzione non può che essere il ricorso a uno psicoanalista: Paul Meyer (Jeremie Renier) che con poche sedute sembra poter risolvere il conflitto di Chloé. Ma scatta l’attrazione tra terapeuta e paziente, non consentita dalla deontologia professionale, e inizia la storia d’amore.

Jérémie Renier e Marine Vacth

Quando Chloé incontra un uomo identico a Paul il regista innesca la marcia del thriller psicologico: cosa nasconde Paul? Il cinema, che ha il potere di rappresentare anche l’invisibile, lascia lo spettatore nel dubbio tra vero verosimile, realtà e rappresentazione. Il doppio che vede Chloé è reale o risiede solo nella sua mente? La specularità è a tutto campo, femminile che si specchia nel maschile, l’eterosessuale nell’omosessuale, il buono nel cattivo. E il doppio può essere risolto solo attraverso l’assimilazione dell’altro.

Jérémie Renier e Marine Vacth

A questo punto Ozon innesca un altro scarto, ribalta la figura passiva in aggressiva. La separazione tra buono e cattivo non è propriamente veritiera. La dicotomia è troppo rigida per rappresentare la realtà, che invece è ricca di sfumature. Inoltre Chloé ha bisogno di confrontarsi con un doppio, di vedersi allo specchio per conoscersi, per arrivare a una consapevolezza del sé, per accettare la propria identità e sessualità. Il doppio è anche la componente maschile della protagonista, una invidia penis che Ozon ha risolto forse in modo semplicistico ed esplicito nel film.

Marine Vacth e Jérémie Renier

Si può crescere solo rompendo lo specchio, ‘uccidendo’ i simulacri, affrontando se stessi e la realtà. E spesso è proprio l’amore, il confronto con l’altro diverso, a costringerci ad affrontare noi stessi. L’incontro con il nostro io può essere drammatico, traumatico, perché quello che non ci piace di noi stessi è più facile proiettarlo fuori, nel mondo o nelle persone che ci circondano.

Marine Vacht in Doppio Amore

Il tema inquietante del doppio (o gemello parassita), le scene ad effetto, l’erotismo ambiguo, l’equilibrio tra vero, verosimile e fantasia, creano tensione e suspense nello spettatore ma a volte il regista si lascia prendere la mano da esagerazioni poco verosimili. Siamo lontani dalla tensione adrenalinica creata da Hitchcock solo con atmosfere, allusioni, o particolari e dall’inquietudine dell’evocazione dell’inconscio, il disagio delle immersioni nel mondo onirico, i trip mentali e le atmosfere surreali di David Lynch. Lasciare più spazio all’immaginazione forse avrebbe giovato a un racconto più sofisticato e cerebrale nella scoperta del sé, che passa attraverso il sesso.

Genere Thriller – durata 110 minuti
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