Piazza Vittorio, dietro la Porta Alchemica l’umanità
Oltre la Porta Alchemica di piazza Vittorio Emanuele II puoi trovare la pietra filosofale: una sconfinata umanità con i problemi e i sogni di tutti i giorni.
Secondo la leggenda l’alchimista Francesco Giuseppe Borri sparì, attraversando la Porta Alchemica di Villa Palombara, lasciando dietro di sé delle pagliuzze d’oro. La sua magia la ritrovi nei volti e nei sogni di chi abita nei giardini e vive all’Esquilino.
Il marchese Massimiliano Savelli Palombara, appassionato di alchimia, edificò, nella seconda metà del XVII secolo, la sua villa dove ora si trova piazza Vittorio. Delle cinque porte solo una è sopravvissuta, quella nota come la Porta Magica. Il marchese frequentava la corte romana della regina Cristina di Svezia a Palazzo Riario (attuale Palazzo Corsini), dotato di un laboratorio (gestito dall’alchimista Pietro Antonio Bandiera) e dove nacque un’accademia di esoterici.
Si racconta che nel palazzo soggiornò il Borri, l’alchimista sfuggito alle accuse di eresia e veneficio della Santa Inquisizione. Fu recluso a Castel Sant’Angelo tra il 1671 e il 1677 e ottenuto il regime di semilibertà fu ospitato dal marchese di Palombara, finché visse, nella sua villa. Borri fu poi recluso nuovamente a Castel Sant’Angelo dove morì nel 1695.
I simboli incisi sulla Porta Alchemica sono rintracciabili nei testi di alchimia e filosofia esoterica dell’epoca. Sul frontone della porta compare il sigillo di Davide. Il fregio è anche un simbolo della setta dei Rosacroce. I simboli alchemici sugli stipiti della porta rappresentano i pianeti associati ai corrispondenti metalli (per es. Marte-ferro, Venere-rame etc.).
La mattina presto s’incontrano nei giardini compite donne orientali che praticano Tai-Chi mentre Franco (Associazione Carabinieri in congedo Martiri di Nassiriya) garantisce discretamente il decoro del parco. Controlla che nessuno dorma sdraiato in terra ed è convinto che: “In fondo questi immigrati sono tutti dei poveracci. Tutto questo razzismo in Italia non c’è mai stato. La gente porta qui da mangiare e le coperte”. Franco ha il cuore buono, non si accontenta di salvare il pappagallo, decide di portarlo a casa e curarlo.
Ehis, 29 anni, è nigeriano, suo padre era un soldato, la macchinetta che gli ronza tra i piedi forse non è casuale: sogna di fare il meccanico e vorrebbe andare negli Stati Uniti. Dominique, avvenente ragazzo tedesco, sembrerebbe un turista di passaggio se non fosse per i suoi piedi scalzi.
All’interno dei giardini chi dorme lo fa seduto su una panchina ma appena fuori trovi chi riposa sdraiato sui marciapiede. Che la gente di piazza Vittorio abbia una mentalità cosmopolita e aperta lo dimostra Bartolomeo che ci apre la sua casa e racconta la sua storia.
Figlio di un siciliano e una nobile cinese di Shangai ripudiata dai genitori per aver sposato uno straniero, ha frequentato Fosco Maraini e Topazia Alliata e racconta volentieri i suoi itinerari. Pratica buddhismo, dipinge e colleziona oggetti orientali che parlano anche loro dei suoi viaggi.
Un viaggio passa sempre per il mercato. Quello dell’Esquilino è multietnico sia per i venditori che per gli avventori. Rashid, al banco delle spezie, è del Bangladesh, è arrivato in Italia passando per la Turchia e la Grecia. Sogna un permesso di soggiorno per sposarsi al suo Paese, con una donna scelta dalla famiglia, e tornare in Italia a lavorare.
Ci sono solo sette banchi di italiani in questo mercato. Uno è di Franchino, “romano de Roma”. Ha 74 anni ed è sposato da 47. Fino a pochi anni fa lavorava alle corse dei cavalli con lo zio che faceva il “picchettaro” (allibratore). Rievoca con romanticismo i vecchi tempi in cui “Moscato d’Erba” correndo sullo steccato opposto (terra morbida) gli fece vincere, a fronte di una puntata di tre, ben 34 milioni.
Ma ammonisce: “Dove sta il gioco vince sempre il banco e ai cavalli il banco è il picchettaro”. Lui ha lasciato il mondo delle corse perché era una vita dura, attaccava alle 14.30 e tornava a casa all’una di notte.
Riguardo agli extracomunitari afferma: “I Romani hanno comannato 2500 anni e mo’ nun se ponno fa rubba’ dai migranti”. Capisce però le loro difficoltà: devono pagare l’affitto del banco (50-60 euro al giorno) e mandare i soldi a casa.
Al suo banco lavorano due bengalesi da diverso tempo, gli assicura la colazione ogni mattina, offre mance e possono rivolgersi a lui per avere un aiuto ma “non devono rubba’”. La figlia di Franchino vive a Miami dove sta risolvendo i suoi problemi di salute.
Infine Franchino, con sguardo complice e allusivo, riguardo al figlio dice “ha gli stessi problemi che hanno molti ragazzi di oggi…”.
Fuori dal mercato il murale di Mauro Sgarbi rammenta: “la diversità è elemento di vita”.