‘Prendre le large’, la delocalizzazione e la migrazione in senso contrario #RomaFF12
È iniziato un flusso, in senso contrario, di emigranti che lasciano l’Europa all’inseguimento del lavoro. La delocalizzazione raccontata nel film ‘Prendre le large’ di Gaël Morel con Sandrine Bonnaire.
Il film racconta la crisi lavorativa di Edith (Sandrine Bonnaire), operaia tessile francese, che deve confrontarsi con la delocalizzazione in Marocco dell’azienda per cui ha sempre lavorato. Di fronte a questa prospettiva il destino di Edith sembra senza via di uscita: il licenziamento, la liquidazione, una vita e un lavoro da reinventare in un’età non più giovane. Suo figlio vive una vita indipendente e lontano. Edith non ha altri legami affettivi. L’azienda la informa che ci sarebbe un’altra possibilità: seguire il trasferimento dello stabilimento, e il lavoro, a Tangeri (Marocco).
Tale trasferimento, oltre al radicale cambiamento esistenziale, comporta pesanti svantaggi economici: la rinuncia alla liquidazione, al sussidio di disoccupazione e la rimodulazione della paga sugli standard dei salari locali. Ma di fronte alla prospettiva della disoccupazione e della solitudine Edith preferisce accettare il trasferimento a Tangeri.
La vita nella nuova fabbrica e l’integrazione, in un paese sconosciuto, si rivelano difficili. Edith trova resistenza e diffidenza tra le colleghe e viene scippata da uno sconosciuto. L’unico sostegno è l’amicizia di Mina, la proprietaria della pensione in cui alloggia. Grazie anche all’amicizia del figlio di Mina la vita di Edith diventa più leggera e lei sembra ritrovare il suo ottimismo.
Il film racconta l’arroganza del potere, quello dei soldi, che decide le sorti e la vita dei dipendenti e delle loro famiglie. C’è il confronto con le condizioni di lavoro, spesso non sicure, ma taciute dalle stesse lavoratrici per timore di perdere il lavoro. C’è la problematica della donna nel mondo musulmano, la cui religione, a volte, rischia di trasformarsi in fondamentalismo. Edith, francese, è la straniera in terra altrui, non cercata, non accettata e considerata dalle colleghe come una che ‘ruba il lavoro’ o, quando si lamenta della mancanza di sicurezza, ‘la spia’. ‘Prendre le large’, partire, dando per scontato un contratto di lavoro, si rivela presto un’avventura rischiosa.
Il regista, Gaël Morel, ha chiarito in conferenza stampa il suo interesse: “Il paradosso di una occidentale che vive in paese straniero. Allo stesso tempo non volevo chiudere con l’idea di un naufragio completo. Mi piace pensare che ci sia sempre una speranza. “.
Sandrine Bonnaire ha sottolineato come: “Questa donna riesce ad avere una solidarietà in un paese straniero che non ha nemmeno in Francia. Ho notato che a Tangeri c’è solidarietà tra le persone”.
In Francia la delocalizzazione è un problema sentito, quotidiano. La troupe ha trovato in Marocco una industria di una tedesca che ha accettato che si girasse mentre la fabbrica era in produzione. Sandrine Bonnaire ha costruito il personaggio di Edith anche attravero i costumi: “Abbiamo iniziato con gli abiti più scuri. I suoi capelli, inizialmente, erano più spenti. E poi i costumi, a poco a poco, sono diventano più colorati”.
Morel ha aggiunto: “Il personaggio si apre a una certa forma di sensualità. Si veste con abiti piu corti riscopre la sua femminilità ma non attraverso un personaggio maschile”.
Quello che a Sandrine Bonnaire è piaciuto di più di Ediht: “È la sua volontà di continuare a lavorare facendo qualsiasi cosa. Sarebbe potuta rimanere in Francia e prendere il sussidio di disoccupazione”.
Sandrine ha continuato: “Edith preferisce partire e lavorare, anche raccogliere le fragole. Ma li è il corpo che non tiene e non c’è la fa fisicamente. Ho avuto un padre che era operaio con un salario miserevole e andava al lavoro in motorino. Ho iniziato a fare l’attrice a 15 anni. È importante non dimenticare da dove si viene e questo mi aiuta nel lavoro”.
Morel ha precisato che: “Non si tratta di una storia vera. Sono partito dalla legge che in Francia prevede di spostare i lavoratori dove verrà costruita la fabbrica. E dove i lavoratori avrebbero il salario della nazione ospitante. L’alternativa è il licenziamento con il sussidio di disoccupazione. È accaduto in Spagna e Macron ha rimproverato gli operai di non essere abbastanza mobili”. I capitali si spostano dove la forza-lavoro costa meno e gli occidentali si trovano, in molti casi, costretti a emigrare o a perdere il lavoro. Solo nei film alla fine tutto si risolve magicamente.
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