Venezia 78. “Qui rido io” gioiello di Mario Martone sulla vita-teatro di Eduardo Scarpetta. Al cinema
Mario Martone: “Per tutta la vita il grande Eduardo De Filippo non volle mai parlare di Scarpetta come padre ma solo come autore teatrale. Quando suo fratello Peppino lo ritrasse spietatamente in un libro autobiografico, Eduardo gli levò il saluto per sempre. Venne intervistato poco tempo prima di morire da un amico scrittore: “Ormai siamo vecchi, è il momento di poterne parlare, Scarpetta era un padre severo o un padre cattivo?”. La risposta fu ancora sempre e solo questa: “Era un grande attore”. Qui rido io è l’immaginario romanzo di Eduardo Scarpetta e della sua tribù. La frase irriverente la pose sulla facciata della sua villa liberty.
Martone, regista teatrale, cinematografico e d’opera lirica, è perfettamente a proprio agio nella contaminazione tra teatro, cinema e vita. In questo film il teatro è vita e la vita è teatro, difficili distinguerli. Ambientato nei primi anni del Novecento, nella Napoli della Belle Époque, il famoso attore comico, e autore di commedie, Eduardo Scarpetta è il re del botteghino. Il fatto di far ridere il pubblico e di accattivarsi la sua simpatia l’ha reso un uomo ricchissimo. La strada fatta partendo da umili origini lo porta a ostentare il suo successo. La sua maschera di Felice Sciosciammocca riuscì a soppiantare, nel cuore del pubblico napoletano, quella del famoso Pulcinella.
Il teatro è tutta la sua vita e sul palcoscenico, o dietro le quinte, gravita la sua famiglia allargata: mogli, compagne, amanti, e nove figli tra legittimi e illegittimi. Tra quelli illegittimi ci sono quelli destinati a maggior fama: Titina, Eduardo e Peppino De Filippo, che non si sa se adorassero più l’attore o il padre. All’apice del successo Scarpetta decide di realizzare la parodia de La figlia di Iorio, tragedia del più grande poeta italiano dell’epoca: Gabriele D’Annunzio. Pare che ottenesse dal vate una sola autorizzazione verbale alla rappresentazione. Fatto sta che la sera del debutto in teatro si rivela un fiasco. La commedia viene interrotta da urla, fischi e insulti mossi dai poeti e drammaturghi della nuova generazione che gridano allo scandalo.
Scarpetta viene denunciato per plagio da Gabriele D’Annunzio e dalla Società degli Autori. Particolarmente avvincente è la prima storica causa sul diritto d’autore in Italia che il regista mette in scena. A causa di questo processo la vita dell’indomito Scarpetta sembra precipitare. Ma la sua capacità di dominare la scena lo vedrà vincitore anche in tribunale. La sentenza sancisce la legittimità della “parodia” quale forma d’arte lecita.
La caleidoscopica interpretazione di Toni Servillo fa vivere sulla scena tutte le sfumature dell’uomo e dell’attore. Ma anche gli altri interpreti sono superbamente calati nei loro personaggi. Come Maria Nazionale, moglie “ufficiale” che ha avuto un figlio anche dal re o Cristiana Dell’Anna, infelice mamma dei fratelli De Filippo, Iaia Forte e Antonia Truppo che fanno parte della compagnia di Scarpetta mentre Lino Musella incarna il filosofo Benedetto Croce e Paolo Pierobon interpreta Gabriele D’Annunzio in vestaglia. Molto convincente Alessandro Manna nell’interpretazione di Eduardo De Filippo bambino.
Un film sul teatro e sulla commedia umana che è la vita. La ricostruzione di Martone di un’epoca precisa e del teatro napoletano di inizio Novecento è stupefacente. Le messinscene delle commedie sono straordinarie così come le sfumature di uno zio-padre-padrone nei confronti dei fratelli De Filippo. Quante volte abbiamo fantasticato o ci siamo scandalizzati dell’harem? Il film fa capire come agli artisti fosse concessa ogni forma di libertà sessuale, con il consenso delle mogli e amanti, a cui, insieme alla rispettiva prole, il “capofamiglia” provvedeva. Libertà, o in alcuni casi dissolutezza, che anche al ceto aristocratico si consentiva (vedi Capri Revolution dello stesso regista).
Questa figura di padre-marito-amante-padrone è quella che si affermerà di lì a poco nell’era fascista. Il maschio dominante che si compiace del suo potere e ricchezza al punto da ritenere di potersi concedere ogni libertà. La figura di capocomico e capofamiglia si confondono fino a diventare una sola. L’incontro tra il commediante e il filosofo pone a confronto, lasciandoli su due livelli diversi, la cultura alta di Benedetto Croce e quella popolare dell’attore napoletano. Un film non solo sul teatro ma anche sulla “paternità”, artistica, intellettuale e biologica. Il corto circuito tra realtà e finzione si compie durante le prove di Miseria e nobiltà quando Scarpetta chiede al piccolo Eduardo, nel ruolo di Peppiniello: “A chi si figlio tu?”. Alla domanda il piccolo Eduardo non riesce a rispondere e s’interrompe.
Questo è anche un film su Napoli in cui trasuda tutto l’amore del regista per la città partenopea. Tutto questo Martone lo fa in modo convincente portandoci sul palcoscenico e dietro le quinte del teatro e le oltre due ore di film volano. Commovente l’invocazione all’unità tra fratelli invocata da Eduardo De Filippo quando Peppino viene maltrattato dallo zio-padre. Eduardo gli dice “noi siamo i fratelli De Filippo, e saremo sempre uniti”, ma purtroppo la vita e i rapporti tra fratelli e sorelle prendono percorsi diversi. In scena anche Eduardo Scarpetta, nipote del commediografo napoletano (trisnonno). Il film è già in sala.