Santo Stefano, gli anarchici e Luigi Veronelli
Santo Stefano, specchio della storia d’Italia, è nuovamente visitabile.
Da giugno ha riaperto, con visite guidate, il carcere di Santo Stefano. L’isolotto, dominato dalla struttura del carcere, fa da sfondo a Ventotene, dietro di lei, all’orizzonte, Ischia. L’isola di Santo Stefano dista quasi due chilometri da Ventotene. Il carcere fu inaugurato nel 1797 con il Regno di Napoli e funzionò fino al 1965, quando venne chiuso.
Questo carcere ha un’importanza storico-politica ed è il riflesso della storia della penisola italiana. Fu utilizzato come ergastolo per briganti, camorristi, mafiosi ma anche per anarchici e comunisti. All’inizio furono i Romani a utilizzare l’isola di Ventotene come luogo di esilio per persone sgradite (deportatio in insulam). Poi nel 1789, con la Rivoluzione in Francia, i Borboni, temendo una invasione dei rivoluzionari francesi, iniziarono a dirottare i fondi per le opere pubbliche a quelle per la fortificazione del regno e a investire nella realizzazione di un ergastolo-fortezza a Santo Stefano. Entrambe le isole erano proprietà allodiali, della famiglia reale e quindi di Ferdinando IV, non del regno. Nel 1793 iniziò la costruzione del carcere. Il primo progetto prevedeva solo due piani e nel 1794 venne, in corso d’opera, contemplato un piano ulteriore per aumentare il numero dei posti.
Oggi il percorso consente di visitare, all’interno, la corte centrale e quattro celle. Il carcere è a visione totale, panocticon, da un punto si vede tutto, controllati e controllori erano visibili gli uni agli altri. La struttura architettonica costituisce un unicum per la scelta dell’ing. Francesco Carpi di riproporre quella del teatro San Carlo di Napoli. La curva a ferro di cavallo e la quinta scenica sono pressoché identiche a quelle del teatro. Sul palcoscenico erano posti i militi della Real Marina e sugli spalti i carcerati. La torre esagona, al centro del cortile, è la cappella dove veniva celebrata la messa e dalle celle si seguivano le funzioni. All’inizio vi furono rinchiusi gli ergastolani della specie peggiore, ma già agli inizi dell’Ottocento c’erano anche 500 prigionieri politici. Segno che questo carcere, dove venivano deportati gli oppositori, aveva una funzione di controllo sociale.
La facciata esterna è quella, ridipinta in rosa, dell’avancorpo militare, il resto è frutto di adeguamenti succedutisi nel tempo. Al piano terra c’erano gli alloggi dei militi, la dispensa, i forni per il pane, le cucine e i locali di servizio. Al primo piano c’era l’alloggio del comandante militare (direttore), che poteva portare con sé la famiglia, dei medici e dei cappellani. Con il Regno d’Italia viene istituito il corpo degli agenti di custodia (oggi polizia penitenziaria), vengono edificati altri due piani sopra le cucine borboniche dove verranno sistemati gli agenti di custodia. Questi, invece, avevano la propria famiglia sull’isola di Ventotene. Potevano uscire dall’isola quattro giorni al mese.
La proprietà privata della famiglia reale di Napoli diventò demanio, ovvero proprietà del regno. I Borboni donarono, nel 1832, l’isola all’orfanotrofio militare della Real Marina. Questo ente aveva il compito di migliorarla ma nel 1840 la dà in enfiteusi, così arrivano i primi due coloni che hanno la possibilità di sfruttare sedici servi di pena (a catena) a basso costo. Quello che si produceva a Santo Stefano veniva assorbito soprattutto dal carcere. I servi di pena erano i “detenuti ai ferri”, che non gli consentivano di fuggire, mentre il detenuto all’ergastolo non veniva impegnato in attività esterne. I Borboni avevano recepito il codice penale francese in cui l’ergastolo è definito: condanna a vita da scontare in un forte su un’isola.
Le coltivazioni a Santo Stefano erano: vite, cereali, carciofi e legumi, poco orto, ovvero tutti prodotti che non avevano bisogno di molta acqua. Fino agli anni Quaranta sull’isola c’era solo acqua piovana, raccolta in cisterne.
Nel 1815 con il congresso di Vienna fu deciso di ripristinare le monarchie prima dell’avvento di Napoleone e così con il Regno delle due Sicilie riapre Santo Stefano. Il patriota Luigi Settembrini (1813 – 1876), detenuto a Santo Stefano che definì un “inferno a cielo aperto”, riuscì a mantenere contatti con l’esterno e racconta il funzionamento del carcere. I detenuti potevano cucinare nelle celle ed erano divisi in fazioni. Erano presenti 100 militi per circa 1000 detenuti. Il detenuto punito veniva messo al centro del cortile, in modo che tutti i detenuti potessero vedere, e veniva battuto da due aguzzini con corde incatramate bagnate nell’acqua.
Settembrini racconta: “Dopo le battiture è incatenato a un piede, e messo al puntale, cioè l’altro capo della catena, è fisso a un grosso anello di ferro che sorge dal pavimento d’una segreta, o è fisso a un cancello d’una finestra…” (Ricordanze della mia vita, p. 323). Settembrini fu recluso a Santo Stefano dal 1851 al 1859, insieme ad altri sei detenuti comuni. I Borboni, pressati, decisero di disfarsi del carcere e imbarcarono i detenuti per l’Inghilterra. Il 1860 è l’anno dell’Unità d’Italia e nel 1862 Settembrini già insegna all’Università di Napoli, per poi diventare senatore nel 1863. Con il Regno d’Italia le celle vengono divise a metà e viene costruito un nuovo giro di celle esterne. Nel carcere borbonico c’era un solo detenuto per cella. Viene abbattuta la barriera, colmato il fossato e il cortile viene diviso da muri a raggiera.
Le torri intorno servivano a offrire riparo agli agenti sui piani. I detenuti stessi si occupavano della manutenzione della struttura. Questa, abbandonata negli ultimi cinquanta anni, è stata vittima di vandalismo. La cella 36 al terzo livello è quella dove è stato recluso, nel 1929, il presidente Sandro Pertini, ma ormai i numeri non esistono più. Sin dalla sua costruzione quello di Santo Stefano fu un carcere politico per dissidenti. Del resto la legislazione borbonica prevedeva la condanna a morte per gli oppositori, spesso tramutata in ergastolo. Nel 1965 il carcere chiude e va via la mano d’opera e chi aveva bisogno dei prodotti locali. Oggi l’isola è di Orazio Ciardi che l’ha acquistata nel 1987 da una famiglia di Ventotene, i Taliercio, che si trovarono tra le mani una eredità scomoda.
All’epoca il sindaco avrebbe voluto acquisire l’isola per farla diventare un’oasi ma Ciardi arrivò prima con una bella somma (forse con l’intento di lottizzare e vendere?!).
Per Santo Stefano sembra profilarsi un’unica soluzione: l’esproprio da parte dello Stato in quanto l’isola è dal 2008 monumento nazionale. Dal 1987 è sottoposta a vincolo storico architettonico, dal 1996 è area ZPS (Zona di Protezione Speciale), dal 1997 è area marina protetta, dal 1999 è riserva statale terrestre e dal 2010 è patrimonio comunitario.
Gli anarchici, Gaetano Bresci e Luigi Veronelli
Alla fine dell’Ottocento vengono portati a Santo Stefano gli anarchici, in particolare gli attentatori di re Umberto I. Dopo vari tentativi raggiunge lo scopo l’anarchico Gaetano Bresci. Passa dalla Francia, raggiunge Monza e uccide il re mentre sale sulla carrozza. Viene arrestato e condannato per direttissima all’ergastolo.
Bresci arriva a Santo Stefano il 23 gennaio 1901. Lo metteranno nell’avancorpo militare controllato a vista giorno e notte. Nonostante ciò viene trovato morto il pomeriggio del 22 maggio 1901. Fu trovato impiccato e non sono chiare le modalità. La versione non ufficiale racconta che morì cinque giorni prima quando una commissione lo interrogò il 17 maggio.
È sepolto nel cimitero di Santo Stefano. C’è chi dice che il cadavere fosse stato occultato per evitare che Santo Stefano diventasse un luogo di pellegrinaggio… (sic!). Nel 1973 arriva a Santo Stefano per una vacanza Luigi Veronelli (enologo, gastronomo e anarchico). Fu invitato dalla famiglia D’Ambra, produttori di vino di Ischia, che avevano in affitto dai Taliercio con contratto di mezzadria, l’isola di Santo Stefano. Mario D’Ambra già dal 1962 meditava d’impiantarvi vigne di forastera e di per’e palummo.
Veronelli, che alloggiava con la famiglia nella casa del contadino, nota la frase all’ingresso del cimitero: “Qui finisce la giustizia degli uomini. Qui comincia la giustizia di Dio” e vede trentanove sepolture (delle quarantaquattro presenti).
C’erano ancora le croci di ferro parzialmente leggibili, fabbricate in modo artigianale dai detenuti. Ora non esistono più ma Veronelli annotò i nomi, la data di morte riportata nei cartigli ai piedi delle croci e l’esatta posizione delle tombe, tra cui quella di Gaetano Bresci. Il suo racconto: “Là, proprio là, il cartiglio di Gaetano Bresci. Piangevo, va da sé; Maria Teresa mi guardava commossa. Mi prese la mano. Ammutolite le bimbe”. Il cimitero è ormai abbandonato da tre anni. Nel 1992 Santo Stefano è stata concessa a Ventotene per garantirne la sicurezza. Nel 1997 Salvatore Schiano di Colella ne diventa la guida. Il comune di Ventotene, che in inverno conta circa 150 residenti, non ha i fondi e le Istituzioni dovrebbero intervenire per preservare e utilizzare un bene architettonico storico-naturalistico così prezioso.
La mappa del cimitero, disegnata da Salvatore, è riportata a pag. 46 del libro di Pier Vittorio Buffa, Non volevo morire così, le storie di chi da Santo Stefano non è uscito vivo.
Il regime fascista promulgò (1926) leggi speciali, che misero fuorilegge partiti e sindacati con la conseguente punizione del “confino politico”, e istituì un Tribunale Speciale utilizzato per soffocare le opposizioni. A Santo Stefano i detenuti politici scontavano l’isolamento e la segregazione mentre il confino era a Ventotene. Il detenuto politico rimaneva in cella e pur avendo l’ora d’aria non poteva comunicare con nessuno e quindi lo spicchio di cortile che occupava doveva essere vuoto. A Santo Stefano sono stati segregati: Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea Costituente e Sandro Pertini.
Il presidente degli italiani venne condannato la prima volta nel 1925 in contumacia, era in Francia insieme a Filippo Turati. Vendette un podere in Piemonte e acquistò in Francia una radio clandestina. Decise di tornare in Italia dalla Svizzera con passaporto falso. Venne riconosciuto a Pisa da un suo collega e fu denunciato. Insisteva nel dichiararsi Luigi Bragaglia ma quando lo minacciarono di un confronto con sua madre si arrese. Fu condannato 10 anni e 9 mesi di confino, di cui tre di sorveglianza. Gli venne assegnata la cella 36 del III livello con una finestra affacciata a maestrale, si ammalò e dopo sette mesi il medico richiese di mandarlo in luogo più adeguato.
La notizia si diffonde e lo spostano a Turi (BA), poi a Pianosa (fino al 1937), quindi a Ponza ma decidono di chiuderne il carcere. Quindi viene trasferito alle Tremiti e nel 1939 a Ventotene è pronta la cittadella confinaria, dove rimane fino all’estate del 1943, quando viene deposto Mussolini. Badoglio libera i prigionieri politici, tranne comunisti e anarchici. Pertini viene convinto dai compagni ad andare a Roma. Ma la capitale è ancora nazifascista, viene arrestato dalle SS, condannato a morte e rinchiuso a Regina Coeli.
Dopo nemmeno una settimana con un falso certificato di trasferimento evade insieme ad alcuni compagni. Raggiunge Milano, fa parte del comitato di Liberazione e diventa membro della Costituente e poi presidente della Repubblica.
Il 2 agosto 1952 arrivò sull’isola, con la sua famiglia, Eugenio Perucatti, drettore del carcere di Ventotene. Riformista per eccellenza tentò il recupero sociale anche degli ergastolani. Al suo arrivo c’era solo l’acqua piovana e non c’era energia elettrica. Fece lavorare i detenuti, inaugurò il generatore diesel per far arrivare l’acqua a pressione sui tetti, venne modificata la rete fognaria, fu costruito un campo di calcetto e un piccolo cinema. Il calcio servì a consolidare i rapporti tra agenti e detenuti che giocavano contro i ragazzi dell’isola. Facendo incontrare i detenuti con le famiglie fece di Santo Stefano un carcere modello.
La prima fuga da Santo Stefano avvenne il 23 agosto 1956. Il detenuto si nascose sulla spiaggia di Calanave, dopo dieci giorni fu individuato dai contadini e così decise di fuggire con un barchino ma venne segnalato. La stampa di destra fece sembrare Santo Stefano, strumentalmente, un carcere di villeggiatura. Così furono sostituiti gli agenti di custodia. Fu chiesto ai detenuti di non reagire alle provocazioni dei nuovi carcerieri. Nel giugno del Sessanta scattò l’allarme e due detenuti fuggiaschi non furono più ritrovati. Il Perucatti “viene promosso” e mandato a Turi. Cambiando il direttore vengono eliminati i benefici ottenuti nel tempo. Altri due detenuti (Benito Lucidi e Antonio Piermartini) tentarono di fuggire scappando dalla grata segata con delle lime. Dopo due notti e due giorni sembra abbiano raggiunto Ischia con due galleggianti. Lucidi fugge a Roma e Piermartini si fa catturare.
Nel 1962 un barchino accostò con difficoltà l’isola. Iniziato lo scarico del legname il mare peggiorò e un’onda trascinò via due agenti e quattro detenuti. Persero la vita per scaricare solo un po’ di legname. A seguito di una inchiesta inizia la chiusura del carcere. I detenuti vengono trasferiti a Regina Coeli e a Pianosa. Il 2 febbraio 1965 arriva l’ordinanza di dismissione e ad aprile vanno via gli ultimi prigionieri.
Con la chiusura del carcere i terreni sono stati abbandonati. In occasione del G3, il vertice del 2016 del post Brexit, Matteo Renzi, François Hollande e Angela Merkel si sono incontrati sulla portaerei Garibaldi, ormeggiata tra Ventotene (simbolo dell’Europa unita) e Santo Stefano. In quella occasione i premier hanno reso omaggio alla tomba di Altiero Spinelli e Renzi ha proposto un piano di investimenti per la valorizzazione dei luoghi simbolo dell’identità europea. L’Italia ha stanziato 80 milioni di euro per fare di Santo Stefano un campus universitario per la formazione di giovani europei. Ma di quel progetto resta il restauro di due torri e la messa in sicurezza del carcere, che è stato interdetto per molto tempo.
Si ringrazia Salvatore Schiano di Colella per l’interessante visita guidata.
INFORMAZIONI
Per arrivare:
Laziomar, partenze da Formia
Da visitare
Carcere di Santo Stefano
piazza Castello 1 Tel. 0771 85345
biglietto per il carcere + biglietto barca
Museo Storico Archeologico
piazza Castello 1 Tel. 0771 85345
Villa Giulia
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Museo della Migrazione ed Osservatorio Ornitologico
Località Il Semaforo, via Olivi
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Dormire
Hotel Mezza Torre
Piazza Castello, 5/6
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Camere con vista sull’isola di Santo Stefano. Centralissimo. Colazione e ristorante su terrazza panoramica
Libreria Ultima Spiaggia
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Libreria indipendente, anche casa editrice, raffinata selezione di testi. Tutto quello che si può leggere su Ventotene. Il titolare, Fabio Masi: “la libreria è l’avamposto quotidiano della cultura”.
Lettura consigliate
Anthony Santilli (a cura di), Biografia di una prigione – L’Ergastolo di Santo Stefano in Ventotene (secc. XVIII-XX), Centro di ricerca e documentazione sul confino politico e la detenzione Isole di Ventotene e Santo Stefano
Pier Vittorio Buffa, Non volevo morire così, Santo Stefano e Ventotene. Storie di ergastolo e di confino, Nutrimenti casa editrice
Filomena Gargiulo, Ventotene isola di confino, confinati politici e isolani sotto le leggi speciali 1926-1943, Ultima Spiaggia, Genova-Ventotene, 2013.