Puglia. I tesori e i riti della Settimana Santa a Troia e i monti Dauni
Cinque giorni a Troia per vivere i riti della Settimana Santa e, nel territorio dei monti Dauni, per conoscere il patrimonio artistico, culturale, naturalistico ed enogastronomico di Troia, Ascoli Satriano, Candela e Biccari. Esperienze, emozioni e incontri con una popolazione profondamente legata al suo territorio e che ha mantenuto intatte le sue tradizioni.
‘Benvenuti al sud!’ Quando arrivi a Foggia sei accolto da una luce solare, abbagliante e da un cielo di vetro azzurro, terso. Sulle colline della Daunia, attraversate dalla via Francigena (percorsa dai pellegrini in viaggio per Gerusalemme), si stendono tappeti dalle cinquanta sfumature di verde, contornati da pale eoliche, energia pulita che un vento costante durante tutto il viaggio te le fa sembrare parte del paesaggio. Un territorio che è punto di arrivo della transumanza.
Uno dei gioielli dell’entroterra è Troia (fondata dal Catapano Basilio Bojannes nel 1019), comune “bandiera arancione” (selezione del TCI). Piccolo borgo eccellente che promuove uno sviluppo turistico sostenibile, dove la tutela del territorio e del patrimonio storico, culturale e ambientale, è connessa all’autenticità dell’esperienza del viaggio. Una esperienza declinata in accoglienza, offerta di prodotti enogastronomici e artigianali tipici, eventi e qualità ambientale.
IL SACRO
Siamo arrivati a Troia, dove devozione e tradizione sono particolarmente sentite, per assistere ai riti della Settimana Santa, che hanno il loro fulcro nella Concattedrale della Beata Vergine Maria Assunta in Cielo (così chiamata dal 1986 perché il vescovo si trasferì a Lucera dotata di propria cattedrale). Non è necessario essere credenti per vivere la suggestione di questi riti spettacolari istituiti dal vescovo Emilio Giacomo Cavalieri nel 1702. Il vescovo commissionò le statue dei Misteri della Passione in cartapesta. Si racconta che fece realizzare il Crocifisso portato dal primo penitente durante la Processione delle Catene del Venerdì Santo, da lui istituita insieme alla Processione del Bacio tra Gesù Risorto e la Madre che lo riconosce al terzo incontro. Abbiamo incontrato i confratelli delle Confraternite che ce ne hanno raccontato la storia e spiegato la funzione.
Ai riti pasquali provvedono le quattro Confraternite che organizzano le processioni della Settimana Santa. Oggi, soprattutto ai non credenti, sfugge il loro significato ma le Confraternite hanno avuto una funzione ben precisa oltre il rito. La Confraternita dell’Annunziata (istituita il 25.4.1475, “Prima Confraternita del Paese”), dalla veste bianca e mantellina verde, provvedeva all’ospitalità dei pellegrini. La Confraternita di San Leonardo (istituita il 25.3.1478) esercitava opere di carità verso i poveri e raccoglieva i neonati abbandonati nella “ruota dei projetti”. Questi bambini erano affidati a nutrici remumerate, fino all’età di sette anni, qualche anno in più per le bambine per le quali le Confraternite provvedevano anche alla dote. A causa di difficoltà economiche le due Confraternite si fusero in una sola.
L’Arciconfraternita del SS. Sacramento (1519), con la veste rossa, ha la funzione di tener viva la devozione al culto dell’Eucarestia, di curare la solennità del Giovedì e Venerdì Santo e di tenere accese le due lampade a olio all’altare del Tabernacolo.
La veste rituale della Confraternita delle Stimmate di S. Francesco e della SS. Addolorata (fondata nel 1699) è bianca con mantellina bordeaux. Esercitava opere di pietà popolare, provvedeva alle onoranze funebri e ai suffragi dei confratelli defunti.
La Confraternita della Presentazione, fondata nel 1715, aveva lo scopo di supportare i braccianti, i piccoli coltivatori e gli artigiani impegnati durante l’estate in lavori a tempo pieno. Fondarono e gestirono il “Monte Frumentario”. Una certa quantità di grano veniva donata dal Marchese Giambattista D’Avalos D’Aquino D’Aragona (principe di Troia) e da alcuni agricoltori devoti alla Beata Vergine a beneficio dei Confratelli e dei poveri della città. Col Monte Frumentario la Confraternita prestava, con un modico pegno, il grano sufficiente per la semina e ne donava ai poveri della città durante l’inverno. Si è fusa poi con quella dell’Annunziata. Attualmente è commissariata, dormiente in attesa di una eventuale rinascita.
Le prime notizie dell’Arciconfraternita della Morte ed Orazione, sotto la protezione di San Michele Arcangelo, risalgono al 1507. Le sue finalità erano: preghiera, penitenza, assistenza spirituale e materiale, e sepoltura dei defunti. I confratelli indossavano la veste nera ma quando a morire erano fanciulli o ragazze prima del matrimonio la veste era bianca. Con Decreto del 1975 si fuse con quella dell’Addolorata e poi cessò ogni attività. Si era trasformata in ‘dormiente’ per un calo di iscritti, entro 100 anni doveva essere risvegliata per non essere cancellata definitivamente. Così è stata abbinata a quella di San Giovanni di Dio e ha assunto il nome di Confraternita della Morte, Orazione e San Giovanni di Dio, i confratelli indossano la veste bianca con la “pazienza” (fascia) nera e stemma.
Dopo alcuni giorni di preparazione spirituale, il Venerdì Santo, cinque penitenti incappucciati, con sai bianchi e a piedi scalzi, guidano la Processione delle catene, trascinando pesanti catene legate alle caviglie (30-35 kg. per ogni gamba), portano una pesante croce per fermarsi in adorazione del Sacramento esposto nelle chiese (Sepolcri). La processione parte dalla chiesa più antica della città San Basilio Magno (una basilica protoromanica) e viene seguita in silenzio da tutti i fedeli. I cinque penitenti appartengono da sempre alle stesse cinque famiglie, le catene sono di loro proprietà e si tramandano da padre in figlio. Ogni volta che muore un penitente un pezzetto di croce viene posto nella sua bara.
I penitenti, nonostante si conosca la famiglia di appartenenza, vogliono restare anonimi nel rispetto della loro funzione che esula da ogni individualismo e personalizzazione. Il ruolo si trasmette di padre in figlio, in favore del primo e dell’ultimo figlio maschio. Abbiamo voluto incontrare un penitente per capire i motivi di tale devozione da parte di un giovane oggi.
La mattina del Venerdì Santo, durante la Processione delle Catene, noi penitenti usciamo a volto coperto mentre la sera siamo a volto scoperto con un altro camice. I penitenti sono tutti gli stessi tranne uno perchè uno zio che non aveva eredi decise di tramandare le catene ad alcuni nipoti e la croce ad altri nipoti. La sera il terzo, il quarto e il quinto penitente non hanno la stessa posizione della mattina. Intorno agli anni Quaranta la processione si svolgeva il giovedì sera con un camice viola. I penitenti si preparano durante tutto il periodo della Quaresima praticando il silenzio. Partecipiamo a tutte le cinque domeniche della Quaresima, si fa la via Crucis in chiesa con il camice celeste, quello con cui usciamo la sera del venerdì. Il giovedì sera facciamo la lavanda dei piedi. La preparazione è soprattutto spirituale, sono una persona normale che commette peccati. Questo rito nasce come una forma di penitenza per tutta la città. La processione si fa con qualsiasi condizione metereologica. Un penitente partecipa alla processione finchè il fisico regge, ho conosciuto un penitente di 70 anni che ce la faceva. Non c’è nulla di scritto. Le catene non le abbiamo mai pesate e sono sempre le stesse. Pesano circa 30-35 kg per gamba. L’eredità più importante che mi ha lasciato mio padre sono le catene e non le cederei mai!”
La sera del Venerdì Santo si svolge la processione dei “Misteri” dolorosi, cinque gruppi statuari lignei sono trasportati dalle cinque congregazioni. Già un documento del 1846 riportava il programma della processione dei Misteri, che riproducono alcune stazioni della Via Crucis. A ogni Congregazione era assegnato il trasporto di un ‘mistero’, statue di cartapesta, oggi conservate al Museo Diocesano e sostituite da statue in legno (Cristo all’orto del Getsemani, Flagellazione di Cristo, Coronazione di spine di Gesù, l’incontro con la Madre e la Crocifissione di Gesù alla presenza di Maria e San Giovanni). All’Arciconfraternita del SS. Sacramento è attribuito il privilegio del trasporto del Cristo morto, segue la statua della Madonna Addolorata portata a spalla dalla Confraternita dell’Addolorata. In ultimo i penitenti delle Catene con la sola croce e a volto scoperto.
La Processione del Bacio è la più suggestiva e partecipata. La statua della Madonna e quella del Cristo risorto, partendo da due chiese poste all’inizio e alla fine del corso, via Regina Margherita, si incontrano davanti alla Cattedrale. Il Figlio si avvicina per due volta, nel silenzio dei presenti, alla madre e la terza volta le bacia i piedi al suono della banda e tra la folla festante. Quindi le due statue entrano nella Cattedrale per la celebrazione della Pasqua.
IL BELLO
Alle pendici del Subappennino sta Troia, erede dell’antica Aecae, che ha visto il passaggio di Annibale, importante sede vescovile rasa al suolo da Federico II (1229). La Concattedrale della Beata Vergine Maria Assunta in Cielo di Troia è un mirabile esempio di romanico pugliese, dall’indimenticabile rosone a traforo a undici raggi, con un portale bronzeo che lascia a bocca aperta, dello stesso artista quello laterale. All’interno, oltre il pregevole ambone (pulpito del 1169), l’affresco con la Dormitio Virginis, tratto dai Vangeli apocrifi come testimonia la presenza di alcuni personaggi insoliti come l’ebreo Gefonia (noto anche come Ruben), al quale San Pietro riattaccò miracolosamente le mani che un angelo gli aveva troncato per aver toccato il feretro della Madonna. Nel Museo del Tesoro della Cattedrale si conservano numerose pergamene antiche, tra cui una col sigillo di Federico II e tre Exultet.
Il Polo Museale di Ascoli Satriano (Subappennino daunio) è uno scrigno di arte e reperti archeologici che testimoniano l’importanza di questa zona sin dall’epoca dei Romani che ne contendevano il dominio ai Cartaginesi (qui la vittoria poco duratura di Pirro nel 279 a.C. e qui svernò Annibale, 215 a.C.). La zona fu avamposto svevo e sotto il dominio di Federico II. Nel museo è ospitato il corredo funerario di una tomba macedone in marmi policromi (cinabro, cerussite e malachite). Tra le opere di spicco i Grifoni, due grifi (dal corpo di leone e testa di drago) che azzannano un cerbiatto; sono stati esposti nel “Padiglione Italia” all’Expo di Milano quale simbolo dell’Italia antica.
Si tratta di un trapezophoros (base di una mensa rituale) acquistato dal Getty Museum di Malibù e restituito nel 2010, insieme a 33 opere tra cui uno splendido podanipter (bacino rituale dipinto, utilizzato durante i banchetti, per il lavaggio delle mani). In questo è raffigurata Teti che, insieme alle Nereidi, porta ad Achille le nuove armi realizzate da Efesto (episodio tratto dall’Iliade, XVIII canto). Entrambe le opere hanno un’unica provenienza e una committenza aristocratica, sono realizzate in marmo pario e attribuite al primo ellenismo (IV sec. a.C.).
Queste sculture sono di una bellezza rara che ipnotizza il visitatore, e a stento si riesce a uscire dalla sala. Questi reperti sono stati trafugati e venduti al museo californiano. A seguito del pentimento di uno scavatore di frodo, e grazie alle indagini condotte dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale, queste preziose opere sono state restituite allo Stato italiano.
Tra le molte opere affascinanti un vaso con foglie cuoriformi tipiche della popolazione dei Dauni, un mosaico pavimentale della villa di Faragola (di cui mancano da scavare i restanti due terzi) e una Madonna lignea abruzzese, arrivata con la transumanza, realizzata con un unico tronco di quercia.
La Cattedrale, dedicata alla nascita della Beata Vergine Maria, conserva un Crocifisso ligneo del XIII sec. e un busto in argento di San Potito con occhi di diamante. Particolarmente venerato dalla comunità locale è il primo santo storicamente attestato della Daunia. San Potito è un martire del II sec. d.C., fu torturato, bollito, gli fu conficcato un chiodo in testa e alla fine, non morendo, fu decapitato. Tra le opere delle Cattedrale la grande tela, il Transito di S. Giuseppe, attribuita a Corrado Giaquinto
Candela è il punto di arrivo della transumanza. La lunga via erbosa, il tratturo Pescasseroli/Candela, consumata dai pastori abruzzesi, per lo spostamento stagionale di armenti e greggi dai pascoli estivi della montagna a quelli invernali della pianura. Una tradizione durata quattro secoli finché non venne abolita la dogana della Mena delle pecore.
Per scoprire questa cittadina fondata nell’anno Mille si parte dalla Chiesa di S. Maria della Purificazione per poi arrampicarsi per vicoli che conducono alla Cittadella. La chiesa, con un portale rinascimentale, ospita un bel fonte battesimale e un coro ligneo del 1600.
Tra i vicoli di Candela si nascondono delle vere rarità. Come un forno a paglia del 1500 e la via più stretta d’Italia, la Trasonna, larga solo 38 cm ma tranquillamente percorribile ponendosi di lato.
IL PROFANO
I monti Dauni hanno una natura che respira ovunque, anche nei piatti con una tradizione legata alle erbe spontanee e aromatiche, ingredienti onnipresenti nella cucina di casa e in quelle dei ristoranti. Una specialità di questa zona sono i salumi di maiale nero dei Monti Dauni, razza autoctona allevata allo stato brado. Tra i formaggi meritano una menzione il caciocavallo podolico dauno, le ricotte e i pecorini. Nella Capitanata è rinomato il pane di Ascoli Satriano a lunga lievitazione.
Altro elemento di spicco è il vino, con rossi che si stanno più affermando nel panorama enoico. Il Nero di Troia (terza varietà a bacca nera per quantità in Puglia) è un rosso corposo, speziato, con sentori di pepe e cuoio, al palato ciliegia nera, da abbinare a formaggi, salumi e carni; ma anche il Tuccanese (un antico vitigno) e il Cacc’e Mmitte sono destinati a dare soddisfazioni.
L’ospitalità qui è di casa, ed è proprio a casa di una famiglia che abbiamo assistito e assaggiato i piatti della tradizione pasquale, cibi da far concorrenza ai noti ristoranti locali. Come la torta di ricotta pasquale, cavicione, una sorta di pastiera, o l’agnello con i cardoncelli, i lampascioni, cipollotti selvatici dal retrogusto amarognolo o le troianelle, teneri carciofi locali.
Non mancano in questa zona, i monti che prendono il nome dall’antica popolazione dei Dauni (mix di greci e albanesi), vette e boschi, come nel comune di Biccari. Il lunedì dell’Angelo è stata un’occasione per una scampagnata al lago Pescara accompagnati dal giovane sindaco di Biccari Gianfilippo Mignogna, tra i sapori genuini dei monti Dauni e un finale adrenalinico nel Parco Avventura. Il divertimento è assicurato nel parco naturalistico Daunia Avventura, per adulti e bambini, con percorsi acrobatici nel verde e l’ebbrezza adrenalinica dei passaggi sospesi tra gli alberi, tiro con l’arco e un percorso trekking per raggiungere, partendo dal Lago, il Rifugio del Monte Cornacchia (1152 m s.l.m.).
Ultima sosta obbligatoria alla pasticceria artigianale Casoli, accanto alla cattedrale di Troia, perché solo qui è possibile assaggiare la passionata, un dolce con un ripieno di tre tipi di ricotta (mucca, pecora e bufala) al gusto della passione su base di bisquit ricoperto di pasta di mandorle pugliesi. Gustarlo davanti alla cattedrale è una esperienza multisensoriale, sintesi di bellezza e bontà. Ha una sola controindicazione può dare dipendenza, ma tornare in questa zona sarà un piacere.
RISTORANTI
ORSARA DI PUGLIA
Nuova Sala Paradiso di Peppe Zullo
Indirizzo: via Piano Paradiso, Orsara di Puglia, FG
Telefono: +39 0881 964 763 Mobile: +39 320 7470093
https://www.peppezullo.it/ e https://www.nuovasalaparadiso.it/
Chiocciola, locale del buon formaggio e vini del territorio nelle Osterie d’Italia Guida 2018 Slow Food. Menzione nella Guida Ristoranti d’Italia del Gambero Rosso.
Tre menù degustazione a 35 euro, di cui uno vegetariano.
Il vulcanico Peppe Zullo, dall’entusiasmo travolgente, è lo chef-contadino, sua anche un’azienda agricola, che ha rappresentato all’Expo di Milano la migliore cucina della Puglia. La sua è una cucina identitaria a chilometro zero fatta di eccellenti materie prime di produzione propria, verdure, formaggi, erbe spontanee, e agnello locale. Piatti consigliati: “ostriche di montagna” (borragine in tempura con sentore di limone), lampascioni fritti (cipollotti selvatici amaragnoli) e mosto cotto, orecchiette cotte alla perfezione, ravioli di burrata con salsiccia dei monti Dauni, ripieno che sembra crema e tiramisu con ricotta (invece del mascarpone).
Cibo della tradizione, e ottimo rapporto qualità prezzo, che ti fa alzare da tavola felice. Da non dimenticare la visita alla Cantina del Paradiso (progettata dall’architetto Nicola Tramonte con la collaborazione dell’artista Leon Marino) è un’opera architettonica che la Biennale di Venezia, nel 2010, ha eletto “Cattedrale del Vino”. In cantina troverete i suoi due vini rossi (Daunia Igt) “Ursaria” e “Aliuva”, entrambi frutto del recupero del Tuccanese, un vitigno autoctono. Abbiamo apprezzato l’Ursaria Daunia rosso 2005, rubino, speziato, sentori di pepe, corpo, un vino destinato a una lunga vita.
TROIA
D’Avalos
Indirizzo: Piazza della Vittoria, 9 – 71029 Troia (FG)
Tel. 0881 970067
www.ristorantedavalos.it
Ristorante nel centro storico di Troia, prende il nome dalla nobile famiglia spagnola che abitò il palazzo cinquecentesco, oggi sede del Municipio, dalla parte opposta della piazza. Cucina, con forno a legna, a conduzione familiare nel rispetto della tradizione. Antipasto con salumi, formaggi e cavedell (bruschette con olio fresco). Buono il tradizionale pancotto, zuppa povera dalle infinite ricette diverse per ogni paese, in cui il pane raffermo viene mescolato a verdure invernali, come cime di rapa, cicorie, finocchietti, bietole e olio pugliese. L’abbiamo gustato con broccoli, pane raffermo, patate, olio e aglio. Primo piatto: cicatelli vr’ccol e schardell, (gnocchetti con broccoli e pancetta). In bocca i sapori di una volta…
Osteria fra due Terre
Indirizzo: Via San Leonardo, 2 – 71029 Troia
Telefono: 0881 977354
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Locale un po’ turistico, simpatia un po’ forzata, piatti accattivanti. Polpettine zucchine, zenzero e curcuma, o con patate, friarielli ripieni, frittatina di cipolla, formaggi al limone, al pepe e al peperoncino, accompagnati da crema di zucca e zenzero e crema di cipolla di Tropea. Strepitoso il purèa di fave bianche e cicoria (piatto della cucina povera ma quanto è buono!)
La Stalla del Nonno. Pizzeria – braceria
Indirizzo: Via G. Matteotti 102 – 71029 Troia
Telefono: 328 7712635
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Ottima la carne, acquistata in zona e macellata dalla famiglia Giannelli. Piatto consigliato carne di pollo, tacchino e maiale marinata e poi cotta alla brace, da leccarsi i baffi. L’impasto della pizza (farina 0 e 1 macinata a pietra) è con lievito madre, lievitazione naturale di 72 ore e lavorato a mano. La bufala è di Battipaglia e la mozzarella di San Bartolomeo. Materie prime selezionate e bontà nel piatto.
Medioevalys
Indirizzo: Via Alessandro Manzoni, 71022 Ascoli Satriano (FG)
Telefono: 333 108 0266
https://www.medioevalys.it
Menù turistici, prezzo per un pasto 30 euro.
Ristorante caratteristico con antiche mura a vista, piatti tipici della cucina pugliese. Piatto consigliato: i cavatelli di grano arso con pomodorino pachino e cacioricotta.
Osteria Maria Neve
Indirizzo: via Iamele, 16 – Troia (FG)
Telefono: 0881 979476 cell. 349 5793078
www.osteriadamarianeve.it
Piatto consigliato: orecchiette con crema di carciofi “troianelle”.
Negozi
Pasticceria Casoli
Indirizzo: via Regina Margherita, 121
Telefono: 375 5405567
www.pasticceriacasoli.com
Foto di Marco De Felicis