Yemen, o “Arabia Felix”, un miraggio fra le nuvole, un Paese incontaminato e dimenticato
2. Yemen. I Romani lo chiamavano “Arabia Felix” per le sue risorse
Lo Yemen (con un’estensione paragonabile a quella della Francia), è situato geograficamente nella zona più estrema della Penisola arabica, dove passano milioni di tonnellate di petrolio e di merci. Gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita sono coalizzati a difesa dei loro forti interessi. Un altro protagonista di questa guerra è l’Iran, che in Yemen appoggia i ribelli houti. Oggi in Yemen l’80% della popolazione (circa 24 milioni di persone) necessita di assistenza umanitaria. Un Paese devastato da cinque anni di guerra, vittima di epidemie, tra cui il colera, perchè l’acqua potabile in sostanza non c’è più in quanto le strutture sono fortemente danneggiate. Qui l’appello di Medici Senza Frontiere.
Al-Hudayda, città portuale contesa tra la coalizione Stati Uniti-Arabia Saudita e le forze armate filoiraniane degli houthi, ha un’importanza strategica sulle rotte del Mar Rosso. Lo stretto di Bab el Mandab è vitale per i traffici commerciali, è una porta d’ingresso del Canale di Suez. Gli houti hanno messo in atto una guerra di logoramento (attacchi agli impianti petroliferi) che ha messo in crisi la produzione saudita di petrolio quasi senza fare vittime, mentre l’aggressione saudita ha ucciso più di 50.000 civili yemeniti, usando fame ed epidemie come arma d’assedio. Per l’Arabia Saudita la via d’uscita da questa guerra potrebbe essere la diplomazia.
A tutto questo l’Occidente non solo rimane indifferente ma invia armi alla coalizione. Una notizia ANSA di oggi riporta che “almeno 70 soldati pro-governativi sono rimasti uccisi in un attaccao missilistico dei ribelli Houti contro una moschea nella provincia di Marib, Yemen centrale”.
Gli yemeniti sono una popolazione accogliente e lo Yemen è di una bellezza struggente, come spero di farvi intravedere dal mio racconto. I Romani chiamavano lo Yemen “Arabia Felix“, per la ricchezza delle sue risorse, ancora oggi è un Paese importante nell’assetto mondiale. Già nel primo millennio a.C. era nota per il suo incenso, che veniva esportato in tutto il mondo.
Nel VII secolo arrivò l’Islam e a partire dal XV secolo potenze straniere presero il controllo della costa del Mar Rosso, ma la dominazione più pesante fu quella ottomana (turca). La Repubblica Araba dello Yemen (YAR) costrinse i colonialisti (inglesi e Arabia Saudita) a ritirarsi, nel 1970 nacque la Repubblica Democratica Popolare dello Yemen (primo e unico stato marxista del mondo arabo) e nel 1990 fu proclamata la Repubblica dello Yemen che riunificò il nord e il sud. Il petrolio costituisce la sua più importante risorsa economica (70% di entrate dello stato).
Lo Yemen ha una straordinaria biodiversità: 1750 specie di piante (il 20% endemiche) e 400 specie di uccelli. All’interno i suoi altipiani vanno dai 1500 ai 3500 m con panorami vertiginosi. Il tour all’interno è stato organizzato con un’agenzia che ha messo a disposizione un’ottimo fuoristrada Toyota e un valido e simpatico autista. Le destinazioni sono state scelte da noi. A soli 14 chilometri da Sana’a (ma sulle strade interne si procede con cautela) si trova la fertile Wadi Dhahr. Al centro della vallata si erge il famoso, e fotografatissimo, Dar al-Hajar.
Il “palazzo sulla roccia” (così è denominato Dar al-Hajar) è stato costruito su una torre di roccia. Visto da sotto sembra dominare il mondo, la sua posizione e il panorama che si gode dal suo interno sono spettacolari. In un posto così bello ti stupisci di non trovare nemmeno un turista, tanto che ho avuto il privilegio di avere le chiavi del palazzo e l’esclusiva di aprirlo io! Il palazzo di cinque piani era la residenza estiva di un imam, che l’ha fatto costruire nel 1786.
Soltanto tre stanze, delle 17, conservano mobili d’epoca. Una di queste è il mafraj (camera con vista), all’ultimo piano (manzar, attico), di un edificio a torre yemenita circondato da finestre e comode sedute. Qui ci si riposava, si riceveva si conversava, si sorseggiava del thé, si masticava il qāt, ci si rilassava, quindi a uso prevalentemente maschile.
Le vetrate istoriate e colorate, a doppia lastra, proiettano un caleidoscopio di bagliori di tutti i colori sulle pareti e sul pavimento. Sembrava di essere nelle “Mille e una notte”. Dalle terrazze del tetto il panorama è favoloso. Belle le fontane e funzionali i pozzi scavati nella roccia, di cui uno profondo quasi 300 m. Abbiamo poi proseguito per Thilla, un’antica città fortificata. In passato è stata un importante centro teologico. Le sue alte mura la circondano e la proteggono, si accede alla cittadina solo da due porte.
Siamo rimasti a bocca aperta girando nelle sue stradine, l’architettura dei suoi edifici in pietra è fantastica. Dalla città sale una scala in pietra che conduce al forte, Husn Thilla, che gli ottomani non riuscirono mai a espugnare, è dotato di cisterne e granaio sotterranei per poter sopravvivere durante gli assedi. Sostare nella parte bassa e assistere all’andirivieni delle donne che raccolgono l’acqua nel bacino ferma il tempo, sembra di aver fatto un viaggio non con l’aereo ma con la macchina di “Ritorno al futuro” che ti riporta indietro nel tempo.
A Thilla una delle cose più interessanti da fare è girare per i negozietti di antichità. Qui puoi trovare jambiya antichi, i pugnaloni che ogni uomo yemenita (in segno di iniziazione) porta fissato alla vita, tappeti, collane di ambra e artistici gioielli beduini.
Lungo strade che si inerpicano sulle montagne si raggiunge (a 10 km da Thilla) Hababab. Questa cittadina si presente molto simile a Thilla, ma ciò che la rende speciale è la straordinaria e grande cisterna idrica di forma ovale dove gli abitanti vanno ad attingere l’acqua e gli animali ad abbeverarsi. Le case a torre, che si specchiano sull’acqua della cisterna, creano uno skyline acquatico fluttuante, suggestivo e fotografico.
Abbiamo quindi proseguito per Shibam per raggiungere Kawkaban. Shibam è un villaggio, fondato nel II secolo d.C., a 2300 m ai piedi del Jeben Kawkaban (2800 m). Kawkaban è posizionata sulla cima del Jebel Kawkaban. Anticamente la città era famosa per la sua scuola di musica. Ai tempi nostri è diventata famosa per la sua architettura e per le antiche cisterne, importante riserva d’acqua, ancora oggi in uso.
La strada per Al-Mahwit è particolarmente affascinante, con paesaggi che incantano. Una zona tappezzata di piantagioni, alberi da frutta, caffè, tabacco e qāt (pianta le cui foglie contengono un alcaloide dall’azione stimolante, che causa stati di eccitazione e di euforia, e provoca forme di dipendenza). Lo sguardo in alto si poggia su fortezze o villaggi abbarbicati su costoni di roccia a precipizio. Più passano i chilometri e i giorni e più hai l’impressione di fare un viaggio a ritroso nel tempo. Al-Mahwit è nota per il suo mercato dove puoi trovare un po’ di tutto.
Dopo le arrampicate, i tornanti e i panorami rocciosi a volo d’uccello, sospesi tra le nubi dei Monti di Haraz si scende giù per attraversare Wadi Surdud. Wadi è una parola araba che significa “corso d’acqua” o anche “valle”. Le vallate fertili (wadi) con i loro semplici villaggi sono estremamente affascinanti. Donne coperte con vesti colorate, a differenza di quelle di città che vestono di nero, vanno al ruscello a raccogliere l’acqua per le esigenze quotidiane. Altre donne con i loro caratteristici cappelli di paglia sono chine sui campi. Non amano farsi fotografare dagli stranieri e in qualche caso reagiscono con lanci di pietre.
In questi wadi si coltiva di tutto: manghi, papaie, banane e datteri, che attirano uccelli e api, che producono uno dei mieli migliori del mondo. La concentrazione di polline dei fiori, l’ambiente incontaminato e la limitata estensione del territorio fanno del miele dell’Hadramawt (a sud-est) il migliore dello Yemen, e forse del mondo, tanto da essere, nello stesso Yemen, molto costoso (20 volte quello normale).
Mentre la vallata scorre dal finestrino del fuoristrada come un film è possibile ammirare la varietà di piante e fiori, come gli splendidi fiori rosa dell’”albero bottiglia”. La strada si inerpica per i Monti Haraz.
La nostra destinazione è Al-Hajjarab, villaggio dell’XI secolo, arrampicato su una collina. Le sue architetture sono affascinanti non meno di quelle della capitale. Ci sono case-torri di otto piani che lasciano il naso all’insù. Sui fianchi scoscesi delle montagne ci sono i terrazzamenti dove gli abitanti coltivano i loro orti.
Un medioevo orientale – fatto di rocce, montagne impervie, falchi, vallate fertili – una natura estrema i cui panorami lo fanno sembrare una filiale del paradiso. Sogno di poterci tornare, ritrovare quella gente, i loro sorrisi e quelle costruzioni che sono l’orgoglio e patrimonio dell’umanità. Gente che non colpisce gli inermi, gli innocenti, la popolazione e che non fa morire i bambini di fame. Ogni persona che non ce la fa e ogni pietra che va giù è una perdita per tutti. Ho voluto raccontare lo Yemen (leggi anche Sana’a) non perchè sia possibile, in questo periodo di conflitti ed epidemie, visitarlo ma per non dimenticare e sperare di tornarci.
In viaggio con Marco De Felicis